[09/12/2008] Consumo

Latte crudo alla spina, nessun pasto è gratis: facciamo un po´ di chiarezza

FIRENZE. Siamo in attesa degli esiti della riunione indetta dal Sottosegretario alla Salute Francesca Martini con il Consiglio superiore di sanità (sarà presente anche il ministro all’Agricoltura Luca Zaia) per valutare il da farsi in merito alla questione del latte crudo alla spina, il cui consumo è stato collegato ad alcuni casi di infezione renale, in particolare nei bambini. Ovviamente l’apprensione nei consumatori, che si stanno orientando sempre di più verso questa modalità di consumo, sia per i costi minori sia per la qualità trovata vicino a casa, è molta. Ma anche i produttori che operano nella “filiera corta” sono intenzionati a vederci chiaro, ed anzi, alcune associazioni di categoria denunciano un eccessivo allarmismo.

Greenreport, che in passato ha informato e visto positivamente questa modalità di distribuzione, soprattutto per la riduzione dell’imballaggio e il minore impatto ambientale dovuto alla filiera locale, muove ora un proprio approfondimento su questa materia facendosi aiutare da alcuni addetti ai lavori. Abbiamo chiesto a Paolo Avellini del Dipartimento di Scienze biopatologiche ed Igiene delle produzioni animali ed alimentari dell’Università degli Studi di Perugia di fornirci la sua valutazione in merito.

Professore, un accordo Stato-Regioni del 25 gennaio 2007 regolamenta in modo preciso questa modalità di distribuzione del latte. Vengono fornite le caratteristiche per determinare l´idoneità delle aziende per poter svolgere questa attività e sono fornite indicazioni precise sulla filiera di controllo e specificate le tipologie di controllo (condizione sanitaria degli animali, igiene della mungitura). Ritiene sufficienti le misure previste nella normativa per garantire la sicurezza igienica dell´alimento e quindi la salute di chi lo consuma?
«Sono sicuro che le misure previste nella normativa sono sufficienti a garantire la sicurezza del latte crudo. D´altra parte la politica agroalimentare tendente a realizzare filiere alimentari "corte" prevede un sempre più accurato controllo della sanità animale e degli interventi a monte della catena alimentare, dando meno importanza a misure di "risanamento", che divengono indispensabili solo quando non si è sicuri della provenienza o delle caratteristiche sanitarie degli animali produttori. Ne consegue che il processo "filiera corta" è valido ed affidabile solo nel momento in cui sia realizzata una accurata tracciabilità del prodotto, cosa ben specificata dalla normativa».

La stessa normativa prevede controlli specifici proprio sul batterio Escherichia coli O157 collegato ai casi registrati di sindrome emolitica uremica e al consumo di latte crudo. Cosa può essere "sfuggito" nella filiera dei controlli? La contaminazione potrebbe derivare dal consumo di altri alimenti o è da escludere?
«Il collegamento tra l´E.coli O157 ed il consumo di latte crudo non è così ben stabilito e certo, come nel caso di altri alimenti di origine bovina (carni poco cotte, soprattutto). Il rischio che tale pericolo si manifesti in seguito al consumo di latte crudo appare a mio parere molto ridotto. Se dovesse verificarsi, dovrebbe essere attribuito solo a cattive condizioni igieniche della mungitura, in quanto l´escrezione attraverso il latte è impossibile, perché il germe non è causa di mastiti (infezione della mammella causata principalmente da Streptococchi o da Staphylococcus aureus ndr).La presenza di animali escretori, attraverso le feci, dell´ E.coli O157, blocca comunque l´autorizzazione sanitaria alla vendita del latte crudo. In ogni caso, volendo valutare anche il limitato rischio, pur sempre possibile, di una contaminazione, è necessario dire che l´assenza del trattamento termico può consentire la permanenza del batterio, ma la quantità di germi patogeni, tenuta sotto controllo dal processo di refrigerazione, non può normalmente raggiungere la carica capace di scatenare l´infezione in un organismo adulto e sano. Alla fine quindi la principale misura di sicurezza è quella di un pronto consumo del latte crudo, evitandone la conservazione domestica, possibile causa di proliferazione. Un principio di precauzione potrebbe infine sconsigliarne l´assunzione a bambini ed adulti in particolari condizioni di debilitazione, a causa della loro maggiore suscettibilità».

Il sottosegretario alla salute ha dichiarato che è necessario bollire il latte crudo prima del consumo, ma nella normativa non è specificato. Chiarito esplicitamente che il latte crudo non si può conservare comunque per giorni e che se non si beve subito va bollito, chi si rivolge a questa modalità di erogazione di solito consuma nell´arco di breve tempo il prodotto. Il latte crudo al di là del leggero risparmio economico si consuma proprio per le sue qualità organolettiche elevate. Se il latte si dovesse bollire obbligatoriamente non pensa che tanto valga consumare latte fresco pastorizzato magari ad Alta qualità?
«E´ evidente che se dobbiamo bollire il latte è decisamente preferibile acquistare quello trattato termicamente, che ci offrirà maggiori garanzie di sicurezza, qualità e conservabilità. Persino un latte UHT è migliore, a mio parere, dal punto di vista organolettico e nutrizionale del latte fatto bollire in casa; ancora meglio, naturalmente, quello fresco pastorizzato. L´obbligo della bollitura del latte renderebbe inutili tutti gli sforzi fatti per realizzare la "filiera corta" e disincentiverebbe i produttori a perseguire questo tipo di produzione. Secondo me, ci riporterebbe indietro di 50/60 anni, quando il lattaio ci consegnava a casa 1/2 litro versandolo dal bidone. Allora non è che esistessero così tanti controlli e molti di noi son cresciuti con quel latte, ma certo il suo sapore e la sua qualità non erano paragonabili a quello attualmente sul mercato. Comunque, tornando all´obbligo della bollitura, peraltro già esistente in alcune realtà europee, questo si configura sostanzialmente come una indicazione in etichetta...»

Il Consiglio Superiore di Sanità pur non avendo certezze su una correlazione diretta tra infezioni riscontrate e assunzione di latte crudo, pensa addirittura ad una sospensione dell´erogazione. Cosa ne pensa? Al di là dell´applicazione del principio di precauzione non c´è stato eccessivo allarmismo?
«Sicuramente l´allarmismo è ancora una volta alla base di una "disfunzione" del sistema di gestione del rischio. A mio parere si avverte la mancanza di una "authority" per l´informazione scientifica verso l´utente finale, che filtri l´operato dei media, che invece sono spesso alla ricerca di "scoop". Altri casi di allarmismo mediatico hanno causato gravi danni a sezioni del mercato alimentare (mucca pazza, influenza aviaria, polli alla diossina...). La sensazione è che un possibile intervento del Consiglio Superiore della Sanità abbia un significato più "politico" che sostanziale, in quanto se volessimo quantificare il rischio in funzione della epidemiologia accertata troveremmo percentuali così basse da essere trascurabili, mentre la certezza dell´assenza totale di rischio è irraggiungibile. Valutando il rapporto rischio/beneficio troveremmo quindi numeri che non giustificano la sospensione della vendita. Comunque, di fronte ad un divieto di commercializzazione, è meglio l´obbligo della bollitura indicato in etichetta».

In generale cosa pensa di questa modalità di distribuzione? Può avere futuro in Italia?
«La possibilità di distribuire latte crudo, più che verso la ricerca della "genuinità", comunque già abbastanza rispettata per il latte e i suoi prodotti, in Italia deve essere vista verso la realizzazione di una politica agroalimentare, come detto, di "filiera corta", con tutti i vantaggi che essa presenta dal punto di vista economico, sociale e biologico. Personalmente ritengo che, al di là di una ristretta cerchia di sostenitori del "naturale", il consumatore italiano medio non è sufficientemente sensibilizzato verso problematiche ambientalistiche e/o naturistiche, come invece avviene in altre realtà europee o globali. Ho la sensazione che sia sufficiente qualche piccolo intervento normativo o regolamentare, che richiederebbe da una parte l´adozione di più accurati controlli e dall´altra l´accettazione di un trascurabile rischio, a scoraggiare i produttori italiani nel favorire la diffusione di questa modalità di distribuzione e i consumatori ad incrementarne l´acquisto. Mi auguro che così non sia».

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