[26/11/2008] Acqua

Cina, il fiume Giallo diventa nero: più di un terzo è inutilizzabile

FIRENZE. Domanda: che cosa avviene se in un fiume lungo 5400 km vengono riversate in un anno 4,29 miliardi di tonnellate tra rifiuti solidi e sversamenti? Avviene che il fiume, da giallo che è, diventa nero. Stiamo infatti parlando di quel fiume, chiamato “Giallo” (Huang He, in lingua cinese), che è dopo il Chang Jiang (“fiume Lungo” o “fiume Azzurro”) il secondo corso d’acqua più lungo della Cina.

E’ notizia di ieri, riportata dal “Guardian”, secondo un’indagine compiuta dal ministero delle Risorse idriche della repubblica popolare l’inquinamento del fiume Giallo ha superato il cosiddetto “livello cinque” in più di un terzo dei campionamenti effettuati: ciò significa che nel 33,8% dei campioni prelevati è presente un’acqua che è inadatta sia per l’ingestione e l’uso domestico, sia per l’utilizzo agricolo, industriale e acquacolturale.

La ricerca, effettuata nel 2007 su circa 13000 km di vie d’acqua tra il fiume e i suoi affluenti, ha evidenziato anche come solo nel 16% dei casi i campionamenti abbiano rilevato una qualità dell’acqua di “livello uno” o di “livello due”, cioè «lo standard considerato sicuro per l’uso domestico». La situazione appare peraltro in peggioramento: ricerche condotte negli anni precedenti, sia pure con una copertura territoriale minore, indicavano nel 31,1% la quantità di campionamenti che forniva acqua con il peggiore livello di inquinamento.

Secondo dichiarazioni rilasciate l’estate scorsa dal ministero dell’Ambiente della repubblica asiatica, l’inquinamento delle vie d’acqua cinesi è da ritenersi «grave», con più del 20% delle acque testate che sono classificate come «non sicure». Secondo il Guardian il potere d’intervento del ministero centrale è «limitato poiché i dipartimenti locali per la protezione ambientale sono sotto il controllo dei governi locali»: nel parere di Wen Bo, direttore del programma Cina dell’associazione ambientalista “Pacific environment”, ciò rende molto complicato per il governo centrale agire in modo organico per rimediare ai danni fatti al patrimonio idrico, poichè le amministrazioni locali tendono ad essere benevolenti con le industrie e le fattorie più inquinanti «in quanto stimolano occupazione».

Le emissioni responsabili degli attuali livelli di inquinamento provengono per il 70% da industria e settore manufatturiero, per il 23% da attività domestiche, il restante da varie altre fonti. Il governo cinese ha lanciato nella seconda metà dello scorso anno una campagna di sensibilizzazione al fine di «risparmiare energia e abbattere gli scarichi inquinanti nei fiumi».

Anche se, come sempre avviene, la logica è di agire nell’emergenza invece che prevenire, vanno comunque salutate con fiducia le iniziative intraprese dal governo cinese. Dopo decenni di sviluppo incontrollato, come dimostrano - ad esempio - i gravissimi problemi sociali e ambientali che sono stati causati dalla messa in opera della diga delle Tre gole sul fiume azzurro, le autorità della repubblica popolare sembrano voler finalmente porre freni significativi al rilascio di scarichi nei fiumi. E in generale, sembra che una certa concezione più “moderna” dei compromessi da attuare per lo sviluppo stia finalmente prendendo piede anche in quei paesi che, fino a pochi anni fa, sembravano voler percorrere passo dopo passo gli errori compiuti dalle democrazie occidentali nel corso della storia.

Il gradino successivo sarà convincere quelle amministrazioni locali compiacenti che un posto di lavoro in più oggi, ma a questi costi ambientali, significa meno posti di lavoro domani: questo perchè “va bene” (si fa per dire) inquinare l’acqua per sostenere le necessità del sistema industriale, ma inquinarla al punto di non poter essere utilizzata nemmeno dall’industria è veramente degno di una commedia da teatro dell’assurdo. Anzi, da teatro delle ombre, visto che parliamo di Cina.

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