[25/11/2008] Parchi

I parchi visti dal parlamento

PISA. La commissione ambiente del Senato negli ultimi tempi ha avviato una serie di consultazioni sui parchi nazionali. Lo ha fatto recandosi in qualche parco anche commissariato ma soprattutto convocando alcuni soggetti interessati ed in particolare –come è naturale- la Federparchi ossia l’associazione rappresentativa delle nostre aree protette che presto terrà il suo congresso nazionale.
Visto il dibattito –se tale può essere considerato- apertosi all’inizio dell’estate con talune sconcertanti sortite più che opportuno è doveroso che il Parlamento non stia a guardare.

Bene dunque, che i parlamentari se ne occupino ma queste prime uscite –voglio dirlo con estrema franchezza anche come ex parlamentare- non mi pare abbiano il registro giusto. L’impressione, infatti, è che la Commissione ambiente stia facendo sua la posizione che il ministero è andato via via assumendo e consolidando con i più diversi ministri e cioè di ‘gestore’ dei parchi nazionali. Ne consegue appunto che l’interessamento parlamentare sia circoscritto ai parchi e solo nazionali.

Ora qui bisogna essere molto chiari; il parlamento titolare della legge quadro a 17 anni dalla sua approvazione e dopo alcune profonde manomissioni –l’ultima quella del nuovo codice dei beni culturali sui piani dei parchi- deve dirci quali effetti tutto ciò ha avuto e ancor più potrà avere sul suo funzionamento complessivo. Dove complessivo significa non solo i parchi nazionali ma quel sistema di parchi e aree protette di cui sono titolari lo stato, le regioni e gli enti locali. E deve farlo non solo nella sua legittima veste di ‘controllore’ ma anche e soprattutto come organo di proposta ed eventualmente di correzione di ciò che non va come avrebbe dovuto e dovrebbe oggi.

Il che significa -perché questa annotazione non appaia vaga e generica o solo di ‘principio’- individuare le ragioni per cui quanto previsto, ad esempio, dal Decreto legislativo n.112 del marzo 98 (cioè 10 anni fa!) che prevedeva il riordino della Consulta tecnica affidato alla Conferenza unificata, la soppressione del programma triennale per le aree naturali protette, la individuazione della disciplina generale dei parchi e delle riserve nazionali comprese quelle marine –il tutto sentita la Conferenza unificata e tenendo conto peraltro che il Comitato stato-regioni delle arre protette era già stato precedentemente abrogato. Non solo, ma pochi mesi dopo -nel dicembre sempre del 98- il Parlamento approvava la legge 426 che all’art 2 stabilisce che nella tutela e gestione delle aree protette ‘lo stato, le regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e d’intesa’ (non più solo sentite).
La legge fissava chiaramente anche quale doveva essere il terreno su cui mettere alla prova questa cooperazione; APE, Convenzione alpina, coste, isole.

Sono trascorsi 10 anni e di quella legge e del decreto legislativo niente è stato messo in pratica. Tanto è vero alla conclusione della seconda Conferenza nazionale dei parchi tenutasi a Torino si prese atto di questo pessimo stato di cose e si convenne che bisognava ripartire da un tavolo congiunto; sembrò allora che finalmente qualcosa si sarebbe rimesso in movimento. Ma anche quell’impegno è rimasto notoriamente lettera morta. Si aggiunga che è dal 2001 che manca una qualsiasi relazione sullo stato dell’ambiente pur prevista dalle legge e che la classificazione dei nostri parchi e aree protette resta zeppa di buchi con tanto di aree protette clandestine (si prenderanno le impronte digitali?) cioè non regolarmente classificate e certificate su cui si esercita –come nel caso delle aree marine- la più cervellotica gestione burocratica ministeriale attiva solo nei tagli.

Quelle norme richiamate del decreto concernenti la famose riforme Bassanini non si limitavano ad abrogare e cancellare taluni organi e strumenti previsti dalla legge quadro, ma prescrivevano organismi e misure più adeguate perché così consigliava l’esperienza.

Ecco perché sconcerta che il Parlamento non avverta l’esigenza -e diciamo pure il dovere- di andare ad indagare sulle ragioni di inadempienze così clamorose. E sorprende ancor più che dinanzi a tali ritardi e omissioni che hanno pesato e pesano come macigni sul funzionamento complessivo delle nostre aree protette e che chiamano in causa lo stato ma anche le regioni e gli enti locali ci si ‘accontenti’ di raccogliere qualche informazione magari su come fronteggiare l’esubero di cinghiali. Si aggiunga inoltre che da tempo sia pure in termini che dire vaghi è un eufemismo si parla di presentazione da parte del governo di proposte normative. Ebbene il governo ma anche le regioni debbono essere chiamati innanzitutto a rispondere perché non si è dato alcun seguito a quanto ricordato e quindi cosa si intende fare prima di ogni altra cosa per metterci mano concretamente. Perché un punto in particolare deve essere chiaro e cioè che le difficoltà che i parchi palesano oggi oltre che a causa dei tagli sono dovute ancor prima e non di meno dalle inadempienze per le quali non si è mai cercato neppure di dare uno straccio di giustificazione.
Da qui deve prendere le mosse il Parlamento convocando chi deve rispondere di questi inghippi prima che ne mettano in cantiere altri.
Renzo Moschini

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