[19/11/2008] Comunicati

Gli 80 anni di Topolino: emblema dell´antropocentrismo o precursore della sostenibilità?

FIRENZE. Un po’ veicolo di avvicinamento dell’ «uomo» alle «bestie», un po’ sacerdote di quella schiavitù mascherata che prende il nome di «addomesticamento». La natura umanizzata di Topolino ci accompagna oggi da 80 anni esatti, da quel 18 novembre 1928 allorché la prima proiezione del cortometraggio «Steamboat Willie» al Colony theatre di New York fece assurgere per la prima volta nell’Olimpo delle celebrità quel topo disegnato inizialmente in modo schematico, con quegli occhi allegri ma non molto espressivi.

E mentre gli occhi di Topolino diventavano poi sempre più umani, sempre più emblema dell’americano medio saggio e bonario, intanto «evolveva» il mondo attraverso le guerre, e le carestie, e le crisi economiche e finanziarie. Ma Mickey mouse era lì, rassicurante e amato da tutti (forse un po’ perfettino e antipatico, ma amato, lui topo, per la sua profonda «umanità»), fino al punto di avere l’ «onore» di diventare la parola d’ordine usata dalle truppe alleate durante l’operazione Overlord, cioè lo sbarco in Normandia.

E, anche se storie a strisce di Topolino erano già comparse in Italia negli anni ’30, è di quattro anni dopo (1949) la fine della seconda guerra l’uscita del primo numero dell’edizione come la conosciamo oggi, il «formato libretto» stampato e distribuito da Mondadori. E dal boom economico alla guerra fredda, dalle parodie della grande letteratura (il Faust, l’inferno di Dante) alla crisi energetica degli anni ’70, fino ai primi allarmi ambientali, il topo con le orecchie a sventola che più a sventola non si può ha descritto, raccontato, sintetizzato l’Italia, la sua cultura, i suoi vizi e le sue virtù.

Tutto questo senza mai raccontare qualcosa che un bambino non potesse leggere da solo, senza dover essere accompagnato dai genitori: in Topolino nessuno ha figli, ma tutti sono «nipoti» di chi li accudisce, così da evitare domande imbarazzanti da parte dei piccoli. E poi la separazione tra «bene» e «male», sempre così netta e rigida come netta e rigida è la differenza tra Topolino e Gambadilegno, ma anche – spostandoci nella vicina Paperopoli – tra la genialità costruttiva di Archimede Pitagorico e l’invidia di Spennacchiotto: forse un’interpretazione semplicistica e diseducativa, ma anche qualcosa che permetteva di identificarsi con quegli animali umanizzati in modo più completo, di approcciarsi ad essi sapendo che non avrebbero tradito le aspettative, che (tranne eccezioni) il buono si sarebbe comportato da buono, e il cattivo da cattivo.

Due sono gli aspetti da sottolineare, in occasione (e in omaggio) del compleanno di questo personaggio di fantasia che è diventato più vero, più tangibile di tanti eroi «reali»: anzitutto viene da chiedersi se la natura umanizzata di Topolino abbia contribuito ad avvicinare l’uomo e l’animale propriamente intesi, o se è stato solo un ulteriore umiliazione che la nostra società ha inflitto alle società animali. Vedendo «Bambi», o leggendo una di quelle storie stampate dove il nostro eroe diventa membro del Wwf e vola in Thailandia a contrastare i bracconieri, ci sentiamo sicuramente tutti più inteneriti, più pronti al rispetto per le creature che condividono con noi questo pianeta. Ma Bambi è finto, non ha l’odore di selvatico, non lascia escrementi nei prati, non diventa mai «selvaggio».

I cartoni più recenti hanno cercato di attenuare questa finzione, introducendo elementi di maggiore «naturalità» nei comportamenti delle specie raffigurate, e le storie di carta hanno poi dato il loro contributo, separando sempre di più nei comportamenti e nelle storie raccontate gli animali «veri» (il cane Pluto, il gatto Malachia) da quelli che – pure animali uguali agli altri – sono però in una condizione che George Orwell definirebbe di «maggiore uguaglianza», e cioè Topolino, Pippo, Paperino, che altro non sono che animali da fattoria essi stessi: un topo, un cane , un papero... ma "privilegiati".

Ancora, in sintesi, non abbiamo capito se Topolino vada considerato veicolo di maggiore o minore rispetto nei confronti delle altre creature che brulicano sul pianeta. Va però detto che l’edizione italiana di Topolino ha storicamente dato ampio spazio a quelle che oggi chiamiamo «le questioni ambientali», sia all’interno delle storie di fantasia, sia nelle pagine delle varie rubriche interne. Questioni che naturalmente si sono evolute: se negli anni 70 e 80 il problema ambientale era visto come connesso ai rifiuti gettati per strada e non nelle discariche apposite, ecco che negli anni ’90 le questioni da affrontare sono diventate più complesse, più intrecciate: e mentre il problema dei rifiuti diventava ben altra questione che non il gettare cartacce in strada, Topolino si adeguava ai nuovi campi di analisi, introducendo i suoi giovani lettori a vie di lettura più sofisticate, parlando di difesa della biodiversità e non più di amore arcadico tra la parte migliore dell’uomo e gli animaletti così buoni e dolci.

Il merito principale dell’edizione italiana di «Topolino», fin dagli anni ’70 del secolo scorso, è stato forse di affrontare dette questioni con un approccio olistico, integrato, riuscendo addirittura talvolta a non separare la «bontà» dell’uomo che si pone scrupoli nei confronti della «natura» dalla pragmatica constatazione della limitatezza delle risorse. Un approccio che ha sempre fuso i temi della salvaguardia del «resto del vivente» con quelli della «salvaguardia di noi stessi», senza mai porre in alternativa i due temi. Ma non solo, rileggendolo oggi da adulti, potremmo scorgere in Topolino un contribuito ad accendere nella testa dei giovani lettori l’interesse per questioni come il cambio climatico, come il problema energetico, come la contabilizzazione del capitale naturale, senza mai cedere al pietismo o a velleitarie esortazioni alla «buona volontà», ma sempre adottando un’impostazione pragmatica, degna di zio Paperone e dei saggi Qui, Quo e Qua più che del romantico Pippo.

Oggi appare abbastanza facile immaginare uno Zio Paperone che ha superato le diffidenze ideologiche che lo accompagnavano, lui vecchio petroliere e cercatore d’oro, nei confronti delle energie rinnovabili, e ha riempito la superficie del deposito monetario di pannelli fotovoltaici. Non per una questione «etica», ma per risparmiare, semplicemente. Oppure Topolino, saggio e previdente, che ha installato un micro-eolico nel giardino e produce da solo l’energia di cui necessita. Solo Paperino, sempre troppo pigro e conservatore, continua a riempire la sua 313 di puzzolente carburante da combustibili fossili: ma la sua identità segreta, quel Paperinik che ogni notte veglia sulla città addormentata, ha già chiesto ad Archimede di installare un motore ibrido, in modo da combattere il crimine senza emettere gas climalteranti.

Torna all'archivio