[13/11/2008] Aria

Countdown: due mesi al lancio del primo satellite per lo studio della CO2

FIRENZE. Come andare alla guerra navale con una barca a remi. Mentre per la contabilizzazione della quantità generale di emissioni sul pianeta la climatologia ha raggiunto un alto livello di affidabilità, un deficit notevole si ha tuttora per quanto riguarda la successiva distribuzione di dette emissioni nell’atmosfera. A riguardo, è di recente pubblicazione ad opera della Nasa (13 ottobre, come vi avevamo dato notizia su greenreport) la prima mappa satellitare della CO2 troposferica, che ha evidenziato come essa, dopo essere stata rilasciata negli strati bassi dell’atmosfera soprattutto nelle regioni industrializzate, tenda poi a distribuirsi in prevalenza lungo due fasce, entrambe tra i 30° e i 40° di latitudine nei due emisferi.

Come già scritto, mentre la fascia nell’emisfero boreale era già conosciuta, quella nell’emisfero sud era precedentemente ignota agli scienziati, e ha costituito fonte di analisi per comprendere come le correnti a getto (cioè, in poche parole, i venti che percorrono il pianeta a un’altitudine media di circa 11 km, tra troposfera e stratosfera) trasportino rapidamente le emissioni da una parte all’altra dell’atmosfera terrestre.

I rilevamenti da satellite riguardo alla CO2 troposferica sono stati finora svolti, come è sempre avvenuto in casi analoghi, attraverso strumentazioni non esplicitamente dedicate all’oggetto di studio: è stato il satellite Aqua, la cui missione fondamentale è studiare le dinamiche del ciclo idrico planetario, a fornire i dati che – raccolti dal 2002 al 2008 – hanno permesso di creare la mappa della CO2. La maggior parte dei rilevamenti relativi alla CO2, comunque, è stata finora effettuata tramite strumentazioni terrestri (come la nota base di Mauna Loa, Hawaii) o montate su aerei, entrambe in grado di fornire solo dati inerenti all’emissione della CO2 e non alle fasi successive al rilascio in atmosfera.

Si evidenzia quindi, come dicevamo, una forte inidoneità nei mezzi che abbiamo per studiare il problema delle emissioni: da una parte si utilizzano strumenti non adatti o comunque inadeguati, dall’altra ogni volta che vengono effettuati nuovi studi significativi le scoperte effettuate spiegano, nella loro imponenza (appare incredibile che la fascia di CO2 nella troposfera australe non fosse conosciuta finora), come enormi passi in avanti siano ancora da fare per comprendere le effettive dinamiche del clima.

Un progresso notevole, in questo senso, sarà costituito dal lancio del primo osservatorio satellitare del carbonio atmosferico, e cioè quell’Orbiting carbon observatory (Oco) di cui pure vi avevamo dato notizia, e il cui decollo è previsto a gennaio 2009. E’ notizia di ieri che il satellite, costruito nelle officine di Dulles (Virginia), ha completato il suo tragitto su camion attraverso gli Usa, fino alla base aerea di Vanderberg (California) dove sarà terminato l’assemblaggio delle parti e da cui avverrà il lancio.

La Nasa, nel dare la notizia, annota come le attività umane rilascino annualmente «più di 30 miliardi di tonnellate di CO2 in atmosfera attraverso l’utilizzo di combustibili fossili, così come 5,5 miliardi di tonnellate addizionali sono rilasciate ogni anno dalla combustione di biomasse, dagli incendi e da pratiche di uso del suolo come lo slash and burn (cioè l’abbruciamento del sottobosco successivo alle utilizzazioni forestali)». Queste attività hanno incrementato i livelli della CO2 atmosferica di «quasi il 20% negli ultimi 50 anni».

I rilevamenti svolti al suolo hanno stimato che, di questa CO2 rilasciata, «solo il 40-50% rimane in atmosfera, mentre il restante 50-60% viene assorbito da oceani e piante terrestri». Ma in primo luogo, anche in questo caso, occorre chiarire che queste stime sono approssimative. E soprattutto occorre aggiungere che dove questa CO2, una volta rilasciata, vada a finire, lo sappiamo solo in via molto approssimativa: «gli scienziati non sanno con precisione dove il carbonio assorbito sia stoccato, quali processi naturali lo stiano assorbendo, o per quanto questi processi continueranno a svolgere il loro ruolo di limitazione del diossido di carbonio atmosferico, in futuro».

Ecco quindi che il lancio dell’Orbiting carbon observatory, che orbiterà sopra i poli a distanza di 705 km dalla superficie terrestre e che per i due anni di durata prevista della missione integrerà i suoi dati con quelli di altri satelliti di ricerca (come il già citato Aqua), costituirà una pietra miliare dello studio dello stato presente (e, soprattutto, dell’evoluzione futura) della dinamica dei gas climalteranti nell’atmosfera successivamente al rilascio, a quasi vent’anni dalla pubblicazione (1990) del primo rapporto Ipcc.

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