[28/10/2008] Aria

Un clima diverso a Londra

ROMA. Entro il 2050 la Gran Bretagna abbatterà le emissioni di gas serra dell’80% rispetto ai livelli del 1990. Lo ha deciso il governo di Gordon Brown, proprio mentre dall’Italia il governo di Silvio Berlusconi chiedeva sia di rivedere il piano europeo che prevede, entro il 2020, un taglio delle emissioni del 20% rispetto ai livelli del 2005 (più alti di quelli del 1990), sia di rivedere, alla luce della recente crisi finanziaria e ormai economica, lo stesso Protocollo di Kyoto, ratificato in sede di Nazioni Unite, che prevede entro il 2012 l’abbattimento del 6,5% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990.

La posizione del governo inglese ha effetti politici immediati. Perché consolida gli obiettivi dell’Unione Europea di confermarsi, con la forza dell’esempio, come leader mondiale della lotta ai cambiamenti climatici. In particolare la decisione inglese contribuisce a blindare il pacchetto «20-20-20» (20% di taglio delle emissioni di gas serra; almeno 20% di energia ricavata da fonti rinnovabili; 20% di risparmio energetico entro l’anno 2020), condiviso di tutti i grandi stati occidentali (Germania, Francia, Spagna e, appunto, Gran Bretagna) e avversato esplicitamente dalla Polonia, e più o meno timidamente dall’Italia e da una serie di paesi dell’est.

Tra una settimana, inoltre, gli Stati Uniti d’America avranno un nuovo presidente. Ed entrambi i candidati – il democratico Barack Obama e il repubblicano John McCain – propongono una politica del clima molto diversa da quella scettica e unilateralista di George W. Bush. Cosicché, la posizione inglese rende più probabile una decisa accelerazione della politica globale di contrasto ai cambiamenti climatici.

Tuttavia la decisione della Gran Bretagna non va valutata solo per gli effetti politici immediati. Essa ci narra di un paese che guarda al futuro. Anche da questo punto di vista la differenza tra Londra e Roma è marcata. Anzi, si tratta di una vera e propria divergenza.

Gli inglesi credono che i cambiamenti del clima globale siano una minaccia reale e che la lotta ai cambiamenti climatici sia un interesse strategico del paese, oltre che dell’intera umanità. Inoltre considerano esaurito il paradigma energetico fondato sul petrolio e, più in generale, sui combustibili fossili. Di qui la scelta di programmare un futuro di lungo periodo, in maniera indipendente dalla congiuntura economica, provando a percorrere con decisione nuovi modelli di sviluppo.

Può darsi che gli sforzi inglesi siano velleitari. Che, da soli, non ce la faranno a centrare gli ambiziosi obiettivi che si pongono. Ma in ogni caso avranno reso più efficiente il proprio sistema produttivo e sviluppato nuove tecnologie nel settore strategico dell’energia. Con la loro decisione di lungo periodo gli inglesi si accingono ad ammodernare il paese lungo un percorso ecologicamente più sostenibile del presente. Insomma, gli inglesi mostrano di voler costruire con coraggio il loro futuro.

L’Italia, invece, chiedendo deroghe su deroghe all’Europa (e alle Nazioni Unite?) gioca la sua partita tutta in difesa. Considera il clima dei prossimi decenni una variabile dipendente dall’economia di questi giorni. Non mette in campo risorse ed energie per modificare il proprio modello di sviluppo e renderlo così più sostenibile e più competitivo. Non guarda con coraggio al futuro. Guarda, con paura, al presente.

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