[27/10/2008] Recensioni

La recensione. Parchi d’Europa. Verso una politica europea per le aree protette

I parchi in Europa, nella vecchia come nella nuova, sono notevolmente aumentati negli ultimi anni. L’Italia ha contribuito a questa cospicua crescita in maniera tangibile prima con i suoi parchi regionali e poi, dal 1991 anche con quelli nazionali e con numerose altre aree protette e siti comunitari.

Sulla consistenza e diffusione dei parchi e delle altre aree protette nel continente il libro offre una ricca e inedita documentazione aggiornata e puntuale grazie al prezioso lavoro che da anni svolge il centro studi del Politecnico di Torino diretto dal prof Roberto Gambino. Le cifre consentono di cogliere al tempo stesso la dimensione complessiva di una fenomeno per molti aspetti nuovo e le diverse situazioni dei vari paesi e aree della vecchia e nuova Europa.

E a questa ricca documentazione rimandiamo il lettore limitandoci ad annotare come l’Italia dopo essere stata notoriamente e a lungo una impenitente cenerentola abbia saputo in tempi sorprendentemente rapidi recuperare il terreno perduto. Il che naturalmente non significa ignorare il perdurare e persistere di ritardi ,come nel caso delle aree marine protette, talvolta difficilmente spiegabili prima ancora che ingiustificabili. Qui vorremmo soffermarci più che sulle caratteristiche e ritmi dei diversi processi attraverso i quali si è potuti, sovente in tempi davvero brevi, conseguire risultati tanto rilevanti e significativi, su quel che l’Europa ha fatto e sta facendo per promuovere, sostenere e orientare questo impegno istituzionale e culturale dei vari stati nazionali. Scopo del libro è infatti unitamente e prima di tutto alla rappresentazione di una realtà poco conosciuta spesso anche dagli addetti ai lavori, di individuare se e in che misura l’unione europea e le sue politiche hanno sostenuto a aiutato adeguatamente questa crescita e impegno dei diversi stati. Vogliamo in sostanza verificare se a fronte di questa crescita che sia pure in misura diversificata interessa tutto il continente, l’UE è riuscita e riesce a svolgere il ruolo che gli compete. Ciò in ragione anche del fatto che le politiche ambientali dei vari stati nazionali sono sempre più ‘dettate’ e ‘regolate’ da atti e norme comunitarie. Un punto questo ormai largamente acquisito e indagato da una copiosa letteratura. Basti pensare agli oltre 200 atti che regolano la materia ambientale e al rapporto tra queste disposizioni e il loro recepimento nelle legislazioni nazionali e regionali.

I problemi riguardanti la classificazione delle aree protette che da sempre ha contraddistinto l’attività e il ruolo della IUCN sono andati naturalmente per molti versi complicandosi con la crescita di cui abbiamo parlato che ne ha accresciuto non soltanto massicciamente il numero ma anche le tipologie rendendo sicuramente meno agevole individuarne e definirne le affinità e le differenze.

Questa complessificazione ha effetti rilevanti e molto concreti come Federica Thommaset evidenzia con grande chiarezza nel suo contributo sia per la definizione e costruzione di un sistema di parchi e di aree protette sicuramente reso più arduo se molte delle nostre aree protette specialmente regionali restano a tutt’oggi da classificare; insomma abbiamo un bel po’ di aree protette ancora clandestine o mal collocate, il che ovviamente non aiuta a definire gli ‘scopi’ di questo soggetti.

Ecco perché oggi è molto importante capire come ci si muove su questo terreno specie se si tiene conto che generalmente nei vari stati nazionali le politiche comunitarie vengono considerate e presentate secondo interpretazioni ‘nazionali’ che mettono l’accento sugli effetti e le implicazioni positive o meno sulla propria realtà, ma assai più raramente sul ‘disegno’ ( se c’è) e gli obiettivi sopranazionali. Ci si sofferma in sostanza più sulla ricaduta delle decisioni di Bruxelles che sulle motivazioni e finalità di una strategia comunitaria quando c’è. E’ il caso delle infrazioni nazionali e delle conseguenti sanzioni anche finanziarie che ne derivano le quali spesso vengono presentate più come pretese di una burocrazia occhiuta e impicciona a cui dobbiamo purtroppo sottostare piuttosto che come inadempienze e difficoltà nostre a conformarci seriamente a politiche integrate di respiro europeo.

Nel caso specifico ovvero in riferimento ai parchi a alle altre aree protette questa esigenza di guardare oltre i confini nazionali appare ed è molto importante e anche urgente perché vi sono ormai numerosi Protocolli, Convenzioni, Trattati internazionali e comunitari da quelle di Berna sulla Biodiversità, a quella di Barcellona sul Mare, a quella europea sul Paesaggio, alla Convenzione alpina fino al cosiddetto Santuario dei cetacei per citarne solo qualcuno che sia pure con diversa incisività e ‘cogenza’, come si dice, configurano già approcci ‘sovranazionali’ spesso però poco presenti nell’impegno e nella iniziativa concreta; basti pensare anche per quanto ci riguarda alla Convenzione alpina che insieme alle coste figura da anni ma con scarsa fortuna anche in una legge nazionale, la 426.

Ora, l’accresciuto peso e ruolo specifico dei parchi e delle altre aree protette non soltanto consente di rilanciare queste politiche e finalità presenti in questi importantissimi documenti ma richiede assolutamente il coinvolgimento più diretto e armonizzato dei parchi.

Insomma queste politiche sovranazionali in campo ambientale hanno bisogno di mettere di più e meglio a frutto le competenze e i risultati di questi soggetti istituzionali qualificati e specializzati nelle politiche di tutela e gestione della natura, del paesaggio, delle tradizioni culturali.

La documentazione offerta dal libro su cosa rappresentano oggi in Europa i parchi e le altre aree protette permette anche al lettore meno esperto e informato di cogliere in tutta la sua portata le potenzialità di questo ‘patrimonio’ di competenze, conoscenze, esperienze di cui la comunità oggi più che mai - considerate anche le difficoltà che i processi di integrazione comunitaria stanno incontrando e confermando - ha bisogno.

E’ questo un punto cruciale perché a fronte di un complesso di parchi e aree protette che nelle rispettive realtà nazionali ha assunto sia pure con differenze anche marcate un peso rilevante, sul piano comunitario questo ruolo ancora non si avverte e si intravede, né pare figurare all’ordine del giorno delle prossime scadenze.

Si obietterà subito che tale giudizio è ingeneroso perché non tiene conto di quanto l’unione europea ha fatto e sta facendo in questi anni con Habitat e Rete natura 2000 insomma con i siti comunitari ( SIC e ZPS).

Ma noi questo impegno dell’unione l’abbiamo assolutamente presente -e come Federparchi ha avuto modo in questi anni di dire- l’apprezziamo molto. Ciò che tuttavia va sempre più chiaramente emergendo anche per la crescita notevole dei siti è che essi se restano di fatto estranei e comunque non integrati in una politica che riguardi il complesso dei parchi e delle aree protette, riducono fortemente la loro efficacia. Basterebbe al riguardo mettere a confronto l’esperienza dei siti collocati all’interno dei parchi nazionali e regionali e gli altri che stanno fuori per cogliere la fondatezza del nostro giudizio. Le valutazioni d’impatto e di incidenza tra un sito che si trova sperso in un territorio che non sia un parco e un sito che al contrario sia compreso nel perimetro di un’area protetta cambiano profondamente. Nel primo caso essi hanno assai scarse possibilità –anche per la loro in genere modesta dimensione- di incidere sul governo del territorio in cui sono compresi, mentre nell’altro possono validamente concorrere a arricchire e qualificare le scelte pianificatorie e gestionali dell’area protetta in cui sono dislocate. Solo che oggi questa integrazione e raccordo è affidata unicamente alle varie realtà nazionali e regionali perché la comunità non ha -e per ora non sembra volere mettere nel conto- una sua politica ‘europea’ rivolta al complesso dei parchi e delle aree protette. Quella politica a cui punta e non da ora Federparchi unitamente oggi a Europarc come ha recentemente stabilito solennemente l’assemblea nazionale tenutasi a giugno al Parco Nord di Milano.

Se noi andiamo a vedere le elaborazioni e i documenti più recenti che in un modo o in un altro riguardano le politiche ambientali europee nei vari ambiti dalla biodiversità alle coste, dal paesaggio alla agricoltura, dalle energie rinnovabili alla montagna noi vi troveremo in maniera più o meno esplicita precisi riferimenti ai parchi e alle aree protette. Ciò che però non registriamo ancora è la ricerca di un raccordo tra queste diverse politiche che restano tutte improntate ad una ‘settorialità’ che nelle varie realtà nazionali sebbene con molte difficoltà si è cercato e si cerca da tempo di superare anche se con esiti del tutto insoddisfacenti. D’altronde i piani dei parchi, almeno da noi, ma è così anche in tanti altri paesi mirano innanzitutto ( o dovrebbero)a aggregare, integrare, raccordare ciò che troppo spesso resta separato e distinto. Questa è oggi la sfida che nei vari paesi si sta cercando di vincere tra molte resistenze, incertezze e incomprensioni. Ma per vincere questa sfida occorre anche il concorso dell’unione europea la cui politica non può esaurirsi nella gestione dei siti.

E’ innegabile che mettere ordine anche classificatorio in questa congerie di parchi e aree protette a livello europeo ed anche internazionale non può che aiutare la cooperazione, le reti, senza confusione di ruoli e senza competizioni che danneggerebbero tutti e non favorirebbero nessuno. Si pensi –per fare un esempio di grande attualità non soltanto per il nostro paese- al paesaggio. In Italia non sono previsti ‘Paesaggi protetti’ che figurano da sempre nelle tipologie dell’IUCN. Solo due recenti leggi regionali, quella dell’Emilia e quella della Calabria hanno previsto la prima i ‘Paesaggi naturali e seminaturali protetti’, la seconda i ‘Paesaggi protetti’.

A Barcellona dove ad ottobre si terrà un importante appuntamento internazionale su questi temi e il nostro paese, i nostri parchi vi parteciperanno molto attivamente forti della loro esperienza ma anche delle loro difficoltà.
Il libro diciamo pure guarda molto al dopo, a quello che le istituzioni nazionali dovranno e vorranno fare perché la costruzione di una politica europea rivolta a tutti i parchi sia finalmente messa in agenda.

Qui naturalmente ogni paese deve innanzitutto fare bene i conti con la propria situazione perché una condizione fondamentale per essere credibili in Europa è di esserlo in primo luogo in casa propria. Facciamo un esempio di grande attualità. La Convenzione europea del paesaggio firmata proprio a Firenze stabilisce con grande chiarezza la stretta connessione tra la tutela del paesaggio e quella naturalistica. Anche la legge italiana sui parchi del 91 al riguardo era quanto mai chiara e precisa; i piani dei parchi riguardavano anche il paesaggio e prevalevano su qualsiasi altro piano. Ora il nuovo Codice dei beni culturali ha sottratto questa competenza ai piani dei parchi per ricondurla in sedi diverse e poco affidabili. Inutile dire che su un punto così strategicamente decisivo specialmente in europa i nostri parchi e le nostre istituzioni non si presenteranno più con le carte in regola. E’ solo un esempio ma di straordinaria portata e stupisce che chi ha preso quella decisione poco saggia non abbia tenuto conto dell’impatto che essa avrà sul piano comunitario che vede paesi anche vicini a noi – la Francia e la Spagna ad esempio- impegnatissimi proprio a rinsaldare questa integrazione tra paesaggio e natura a partire dalle aree protette.

Nel riproporci questa questione che avemmo modo di discutere pochi anni fa con molti amici europei in un importante incontro a Riomaggiore che purtroppo non ebbe il seguito che speravamo e che in qualche modo dovremo cercare di riprendere non possiamo certo far finta di niente sulla fase estremamente delicata che sta attraversando la Comunità specie dopo l’esito di alcuni referendum. E tuttavia è anche tenendo conto di questa fase travagliata che è bene mettere in campo tutte quelle iniziative che possono solo ‘avvicinare’ impegni e scelte che oggi rischiano di divaricarsi ulteriormente. E la questione dei parchi e delle aree protette per le molteplici implicazioni ambientali, culturali, economico-sociali e istituzionali che presenta può contribuire a rafforzare quelle forme di cooperazione sovranazionale di cui l’Europa ha oggi estremo bisogno.

Qui si incontrano anche aspetti tutt’altro che nuovi sui quali
è opportuno tornare a fare mente locale soprattutto al sud in ordine,ad esempio, ai fondi comunitari. E’ risaputo - i tanti studi al riguardo sono lì a ricordarcelo- che il nostro paese in generale non ha brillato e non brilla – per la sua capacità di utilizzazione dei finanziamenti comunitari e soprattutto per la sua capacità di presentare progetti seri in grado di coinvolgere le istituzioni locali e le aree protette.
Possiamo citare per tutti, e l’esempio non riguarda unicamente il sud, i progetti relativi all’agricoltura ovvero la ruralità il famoso secondo pilastro il quale doveva e dovrebbe servire a disancorare la politica agricola comunitaria dal capitolo prezzi. Un pilastro che attiene proprio a quel tipo di interventi che ben si attagliano soprattutto ai parchi e alle aree protette. Purtroppo come risulta anche da documenti piuttosto recenti della Corte dei conti europea i dati ci dicono quanto poco si è riusciti finora a realizzare il che deve allarmarci più che mai specie nel momento che sull’agricoltura comunitaria incombe la ‘minaccia’ –perché tale è- dei biocarburanti.

Ma su questo non possiamo che rimandare ai tanti studi e dati che non lasciano spazi a dubbi tanto è evidente il persistere di comportamenti dai quali risalta e trova conferma l’inadeguatezza del nostro sistema istituzionale nel suo complesso a progettare secondo criteri e finalità credibili. E qui se da un lato emerge l’inadeguatezza dei poteri locali ad uscire da un municipalismo spesso ‘ accattone’ dall’altra trova non meno allarmante conferma il ritardo di un ‘centro’ che non sa cogliere dalle politiche sopranazionali l’occasione per uscire da preoccupazioni di tipo prevalentemente centralistico –burocratico piuttosto che la sfida strategica per mettere in cantiere politiche che hanno bisogno non di meno centro ma di un centro diverso, più qualificato in quanto supportato da maggiori conoscenze e competenze senza le quali specialmente i parchi e le aree protette saranno considerate unicamente enti di cui controllare burocraticamente gli atti e non sostenere progetti e programmi seri e spendibili in Europa.

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