[21/10/2008] Comunicati

Ricerca, cervelli in fuga e con ragione

LIVORNO. In un articolo pubblicati oggi dal Sole24Ore, Salvatore Settis riporta i dati relativi alle graduatorie per il bando dell’assegnazione dei fondi europei della ricerca. Ad attribuire questi fondi è l’agenzia europea di ricerca (Erc), una nuova struttura di cui l’Unione europea si è dotata per erogare i 7,5 miliardi che ha messo a disposizione per il settore.

Riguardo alle domane presentate dai ricercatori italiani, si evince dalla classifica che l’Italia è stata prima nel numero di domande inoltrate sia per la graduatoria destinata ai più giovani, starting grants, sia in quella dedicata al secondo livello, advanced grants. Segno evidente sostiene Settis, a ragione, che il nostro paese ha molti ricercatori di ogni età, ma che per trovare finanziamenti adeguati a portare avanti i loro progetti devono cercare altrove.

L’Italia si colloca in una buona posizione anche per quanto riguarda le richieste accolte: nella classifica destinata ai più giovani è al secondo posto dopo la Germania e prima di Gran Bretagna, Francia e Spagna. Quindi i ricercatori italiani sono anche qualificati, segno che il livello di formazione è elevato. Ma il dato preoccupante riguarda il numero dei ricercatori (totali) che, avendo ottenuto il finanziamento, sceglie l’Italia come sede per portare avanti il progetto. Dei 35 ricercatori italiani cui sono state accolte le domande di ricerca ne rimarranno 23 a lavorare in patria e dall’estero ne arrivano solo due: un polacco e un norvegese. Risultati anche peggiori nella classifica avanzata, in cui l’Italia risulta quarta per i vincitori (23 in tutto) di cui sei andranno a spendere il proprio assegno all’estero e solo uno predilige l’Italia per svolgere il proprio progetto: un inglese che ha scelto Pisa.

Una scarsa attrattività per l’Italia come paese in cui portare avanti ricerche, che non ha eguali nel resto d’Europa, sia per numero di esterni che di propri ricercatori. Un dato che evidenzia in maniera netta il fenomeno della cosiddetta fuga di cervelli, perché non riescono a trovare nel nostro paese terreno fertile per fare ricerca. Che non stupisce, dato che la ricerca in questo paese è da sempre il fanalino di coda, agli ultimi posti come fondi messi a disposizione sia per quanto riguarda quella pubblica che quella privata e soprattutto, sottovalutata come propulsore fondamentale dell’economia del paese. Mal finanziata, mal orientata, e sottovalutata nella sua capacità di portare sviluppo positivo alle imprese e al sistema paese nel suo complesso, non può allora sorprendere che i ricercatori che possono vadano a cercare altrove sedi dove operare.

Quello che stupisce Settis è l’assoluta passività con cui maggioranza e opposizione assistono a questa «emorragia di forze intellettuali» che non può essere giustificata con l’attuale crisi economico-finanziaria. Anche perché, bisognerebbe aggiungere, la situazione versa in tali condizioni da molto tempo prima che vi fosse una crisi. Le possibilità di reazione Settis le sintetizza in due approcci estremi: uno che si rifà alla terapia shock adottata nel 1992 nella Russia di Eltsin, dall’allora primo ministro Yegor Gaidar, che impose tagli draconiani alla ricerca e che portò moltissimi scienziati russi ad emigrare. L’altra, la politica indicata da Sarkozy per riprendersi dalla crisi economica che ha proposto di aumentare da ora al 2012 del 50% i fondi alla ricerca, ovvero 5 miliardi in più rispetto agli attuali. E si chiede Settis quale delle due strade potranno scegliere i ministri del governo Berlusconi. Ma una risposta dal governo è già arrivata con il decreto 133 cha ha tagliato il finanziamento pubblico di un miliardo e mezzo per i prossimi tre anni, oltre a impedire la stabilizzazione dei precari.

Una scure su un panorama già abbastanza grigio. Per l’Università e la ricerca, pubblica e privata, l’Italia spendeva già meno del 2% del Pil, il 20-30% in meno dei paesi europei, come ricerca pubblica e mediamente meno del resto d’Europa in investimenti delle imprese italiane in ricerca e innovazione. Il risultato allora non potrà essere che veder proseguire in futuro ciò che già sta avvenendo da qualche anno, ovvero che l’emorragia di forze intellettuali, cui fa riferimento Settis, continui a ritmi sempre più sostenuti. Cui non potrà che seguire, con analoghi ritmi, il declino culturale e, in maniera del tutto probabile, quello economico del nostro paese.

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