[16/01/2006] Consumo
LIVORNO. La Commissione europea ha dato via libera a tre nuovi mais transgenici, contro i quali si è sempre pronunciata l´Italia. Con questa decisione si autorizzano tre tipi di mais della multinazionale Monsanto: il
GA21 (tollerante agli erbicidi) importato sotto forma di prodotti trasformati per l´alimentazione umana come olio, farina o amido, l’ibrido MON863xMON810, destinato all´alimentazione degli animali e il famigerato
MON863 presente in nuovi prodotti o ingredienti alimentari per uso alimentare.
«Ci pare – è il commento dell’assessore regionale all’Agricoltura Susanna Cenni - che dare autorizzazioni del genere mentre noi chiediamo che siano definite regole di coesistenza tra agricoltura biologica, convenzionale e transegica, sia quanto meno non opportuno». La Toscana è stata la prima regione italiana a dotarsi di una normativa specifica sugli Ogm), sia per quanto riguarda i controlli (negli ultimi tre anni sono stati controllati circa 4mila ettari di superficie agricola riscontrando un solo caso di positività) e le sperimentazioni (attraverso il centro Arsia di Cesa, in val di Chiana).
«Noi comunque proseguiamo nel nostro impegno – conclude l’assessore – per ottenere regole chiare per poter decidere. E quindi continueremo a lavorare e spronare anche i governi nazionali perché si facciano carico del problema».
Il responsabile Agricoltura di Legambiente Toscana Beppe Croce non nasconde la sua preoccupazione dopo il via libera della commissione europea ai tre ogm della Monsanto. «Senza entrare nello specifico dei prodotti – dice Beppe Croce – sottolineo il fatto che in questo modo viene pregiudicato il principio della precauzione e della sicurezza alimentare. Infatti se anche fosse dimostrata l’innocuità, riteniamo grave che non venga garantito il principio di non contaminazione. Mi spiego meglio: la libertà di commercio di questi ogm si traduce in una mancanza di libertà per chi non vuole gli ogm, perché ad oggi non è possibile essere sicuri che i nostri prodotti nelle varie fasi, non vengano in qualche modo contaminati dagli organismi geneticamente modificati».
Anche il presidente di Cia Livorno, Stefano Poleschi, sottolinea che «la Toscana ha ribadito da anni la propria scelta di un’agricoltura diversa e identificata col territorio, libera dagli ogm. La nostra – continua – non è una posizione oscurantista verso la ricerca, che ci deve essere e possibilmente di carattere pubblico in modo da garantire la massima sicurezza; la nostra è una scelta di qualità e di tradizione. Come consumatore sono abbastanza convinto che le ricerche effettuate in modo massiccio sugli ogm garantiscano abbastanza su possibili implicazioni sulla salute, ma chiedo indicazioni chiare ed evidenti sulle composizioni agroalimentari che andremo a consumare. Ammetto invece di essere molto più preoccupato per le conseguenze che le coltivazioni ogm avranno sulle nostre culture tradizionali».
Chi invece non fa sconti alla Monsanto è Marcello Buiatti, professore di genetica all’università di Firenze e presidente nazionale dell’associazione Ambiente e lavoro.
«Il nodo fondamentale è l’ogm MON863 – spiega Buiatti - perché Monsanto ha tenuto nascoste a lungo le prove di alimentazione e quando alla fine su richiesta di un magistrato tedesco è stato diffuso il loro rapporto fatto per la commercializzazione, esso era molto carente».
Buiatti ha visto i dati forniti, li ha studiati insieme a colleghi francesi e li ha giudicati estremamente insoddisfacenti: «Le confesso che se un mio studente mi porta una roba del genere lo caccio fuori – dice Buiatti – dati carenti dal punto di vista sperimentale, campioni troppo piccoli, analisi statistica elementare e sbagliata, nessun rilievo dato alle anomalie riscontrate sui topi che avevano assunto il MON863. Insomma dati e risultati del tutto insignificanti».
Eppure quei dati sono bastati alla commissione europea per dare il via libera alla Monsanto. «Questo è l’esempio lampante di come le richieste di dati che vengono fatte alle imprese dalla commissione europea non siano più sufficienti. Nel dossier presentato per la commercializzazione – conclude Marcello Buiatti - i metodi di analisi sono estremamente antiquati e non permettono per esempio di vedere eventuali modificazione che il gene può aver subito durante la trasformazione. Io non sono contrario per principio agli ogm, ci mancherebbe, però in questo caso la commercializzazione è perlomeno prematura».