[16/10/2008] Parchi

Taormina, congresso nazionale di selvicoltura. Quale futuro per i boschi italiani?

FIRENZE. Hanno inizio oggi i lavori del terzo Congresso nazionale di Selvicoltura, organizzato a Taormina (Me) da Accademia italiana di scienze forestali, Corpo forestale dello Stato e regione Sicilia. Il congresso, che avrà termine domenica 19, si aprirà con una relazione introduttiva di Orazio Ciancio, e intende fornire una revisione generale su tutti gli aspetti che oggi sono annessi alle pratiche selvicolturali: da quelli più tradizionali (produzione legnosa, protezione idrogeologica, inventari forestali), alle odierne prospettive nella salvaguardia della biodiversità, nell’assestamento delle aree protette, nella lotta al surriscaldamento climatico, fino ai possibili sviluppi nel campo della produzione di biomassa per centrali termiche (es. filiera del cippato) e nella partecipazione civica e amministrativa nell’assestamento e nella gestione delle aree protette.

La selvicoltura è stata fin da tempo immemorabile un campo di studio e applicazione che si è posto come precursore delle istanze di sostenibilità. Fin dai primi documenti di gestione forestale (ad esempio, quelli con cui la repubblica di Venezia imponeva criteri e limiti di prelievo sulle prealpi venete, al fine di garantire la perennità della risorsa legnosa per le sue flotte) è stata acclarata la necessità di puntare da una parte ad un prelievo costante e perenne nel tempo, dall’altra alla quantificazione economica del valore che il bosco può fornire. Criteri che sono oggi considerati – appunto - capisaldi delle politiche di sostenibilità, intese sia nel senso della generale conservazione delle risorse attraverso un utilizzo “modellato” sulla loro capacità di rinnovarsi, sia nel senso di una necessaria quantificazione del valore economico che è connesso al capitale naturale.

Nel tempo, le finalità della selvicoltura si sono adeguate ai tempi che cambiavano: in particolare dopo la crisi del mercato del legname da ardere e da costruzione (anni ’60-’70 del secolo scorso), ma anche in conseguenza di una nuova sensibilità ambientale che in quegli anni si stava facendo strada nell’opinione pubblica, hanno acquisito sempre maggiore importanza gli aspetti di conservazione e tutela della biodiversità che sono connessi ad una razionale gestione del bosco, mentre gli aspetti più strettamente produttivi andavano parzialmente scemando. Aspetti produttivi che, invece, stanno oggi ritornando ad acquisire importanza, in conseguenza della necessità di abbattimento delle emissioni climalteranti e dell’affermarsi degli obiettivi di conversione energetica in direzione delle fonti rinnovabili.

Siamo quindi ad un punto di svolta, forse. L’abbandono delle foreste (e, in generale, della montagna) sta creando danni (si pensi alla stabilità dei versanti) in conseguenza del venire meno della fondamentale funzione di “presidio” svolta dagli abitanti delle comunità più remote. D’altro canto, la diminuzione della pressione antropica ha avuto indubbiamente un ruolo nell’aumento della naturalità degli habitat boschivi e montani, associandosi così alle politiche di salvaguardia. Il probabile (e assolutamente auspicabile) aumento, in futuro, della diffusione delle centrali a biomasse forestali potrà portare da una parte ad una conversione energetica verso la sostenibilità, ma dall’altra ad una nuova “invasione” del bosco da parte delle attività umane, che vanificherebbe in buona parte gli obiettivi di salvaguardia degli habitat e in generale la “naturalità” stessa del bosco. Contraddizioni che, si legge negli stessi atti del congresso, andranno affrontate attraverso politiche di governo concertate che forniscano guida e sostegno alle attività selvicolturali, come in ogni caso in cui vadano trovati (a livello di organismi decisionali in primis) i necessari compromessi tra lo sviluppo delle attività economiche e la tutela della perennità del capitale naturale da cui esse prelevano.

Oggi, circa un terzo del territorio italiano (il 34,7%, secondo dati Infc) è considerato “area forestale”. Di essa, l’83% è considerato “bosco” e il restante 17% è suddiviso in varie altre tipologie di uso forestale del suolo, prevalentemente arbusteti. La proprietà delle foreste è per il 66% privata, e per il 34% pubblica. Per quanto riguarda gli aspetti inerenti all’assestamento delle aree protette, si ha che «ill27,5% della superficie forestale nazionale è tutelata da un vincolo naturalistico, con un´incidenza maggiore in alcune Regioni del Centro e Sud Italia, interessando oltre il 50% della superficie a Bosco in Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia». In particolare, circa il 15% dei boschi ricade all’interno del territorio di parchi nazionali o regionali, e il 22% della superficie a bosco è inclusa nei siti della rete Natura 2000.

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