[13/10/2008] Comunicati

Crisi, Leon: Per sostenibilità ambientale e sociale serve volizione politica...

LIVORNO. L’Europa cerca di arginare gli effetti della crisi finanziaria globale, con un piano discusso e redatto ieri al summit di Parigi dei capi di Stato e di governo dell’Eurogruppo che verrà approvato oggi dai consigli dei ministri simultanei, per dare operatività alle decisioni prese. I punti in cui si divide il piano prevedono la garanzia sui debiti degli istituti bancari (con possibilità di dare liquidità allae banche in difficoltà, di consentire prestiti interbancari fino al 31 dicembre 2009, assicurare flessibilità nelle regole contabili ecc) e l´impegno nelle ricapitalizzazioni delle banche in crisi. Ogni stato potrà scegliere le modalità con cui operare ma nell’ambito di un accordo collegiale. Sulla scia dello schema elaborato dal G7, l’Europa si è data quindi dei principi e una cornice comune che farà da sfondo alle decisioni che ogni singolo paese prenderà per fronteggiare la crisi. Una decisione che sembra gradita alle borse che hanno aperto stamani al rialzo. Ma se sarà sufficiente ad evitare che la crisi finanziaria peggiori e potrà evitare la recessione economica è ancora presto per dirlo.
Ne abbiamo parlato con Paolo Leon (Nella foto tratta da aprileonline.info), professore di Economia pubblica all’Università di Roma Tre.

Il piano che è stato approvato ieri al Summit di Parigi e che stanno varando in maniera simultanea i consigli dei ministri europei, le sembra sufficiente?
«Il Piano è buono, ma ha un buco che sta nel fatto che ogni paese marcia per conto proprio. Non è stato fatto né il fondo richiesto da Sarkozy né una cintura di sicurezza per sapere quante risorse verranno messe a disposizione. Ancora non si sa quanto verrà destinato a questo piano. Manca qualcosa di europeo in senso proprio, e non c’è nessuna azione di responsabilità da parte della Bce, che se ne è tagliata fuori. Comunque vedremo alla prova dei mercati tra oggi e domani se regge. Bisogna dargli tempo di rendersene conto».

Le sembra che il governo italiano si stia muovendo nella direzione giusta?
«Non so bene come vorrà muoversi il governo. Per ora sembra del tutto impreparato e le uscite che ha fatto, come quella di chiudere le borse, hanno semmai contribuito a fargli perdere di credibilità. Ha fatto poco per questa crisi se non andare a rimorchio. Quello che è stato fatto è opera di tutti gli altri, non certo il nostro governo. Si è limitato a lanciare elementi di tranquillità, dimenticando però che la platea non sono in questo caso solo gli italiani ma i risparmiatori in un sistema globalizzato su cui i segnali di tranquillità dati dal governo italiano incidono poco. Un approccio che suona più di propaganda che altro».

In una fase come questa non crede che rivedere i criteri della politica economica secondo dettami della sostenibilità ambientale e sociale, più che un opportunità sarebbero un obbligo?
«Non credo che verranno presi né come opportunità né tanto meno come obbligo. Ci sarà una nuova difficoltà a inserire criteri di sostenibilità nella politica economica. Se anche dovessero servire i piani varati per frenare la crisi finanziaria, la recessione ci sarà lo stesso. I costi delle materie prime diminuiranno e il ricorso alle energie alternative sarà meno vantaggioso. Quindi si rimane nell’ambito volontaristico delle scelte in chiave ambientale. L’unica possibilità potrebbe essere nel fatto che, dato che gli stati dovranno intervenire sulla spesa pubblica, si possano utilizzare in quell’ambito misure orientate alla sostenibilità. Ma ci vuole una volizione politica, che non c’è».

Anche l’opposizione non sembra dare una spinta in tal senso, non le sembra?
«La spinta da parte dell’opposizione è del tutto assente. Ed è stata flebile anche nei confronti della crisi, che ha fatto passare senza che vi fosse nessuna propria elaborazione per venirne fuori e senza dare strumenti per far capire agli italiani di cosa si trattasse. E non ha messo nemmeno le mani avanti per dire come orientare gli investimenti pubblici. L’unica cosa di cui parla sono i salari che non rispondono nemmeno totalmente alla politica pubblica».

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