[10/10/2008] Consumo

La pesca perde 50 miliardi di dollari all´anno

LIVORNO. Fao e Banca mondiale hanno pubblicato lo studio "The sunken bilon: The economic justification for fisheries reform " dal quale emerge il pesante costo della pesca: «Le perdite economiche causate da cattiva gestione, inefficienze e sfruttamento eccessivo ammonterebbero all´impressionante cifra di 50 miliardi di dollari l´anno. Se considerate su base triennale le perdite sono di oltre 2 trilioni di dollari, vale a dire più o meno quanto il Pil di un paese come l´Italia». Queste perdite sono addirittura «solo la parte visibile di un iceberg più grande: il rapporto «presenta una stima conservativa, esclude infatti le perdite della pesca da diporto e del turismo marino, e quelle dovute alla pesca illegale». La via di uscita da questo crollo e da questa rapina delle risorse ittiche sarebbe però disponibile: «Una pesca ben gestita potrebbe capovolgere la situazione e trasformare le perdite in benefici economici sostenibili per milioni di pescatori e comunità costiere».

Secondo Kieran Kelleher, coordinatore del settore pesca della Banca Mondiale, c´è da sciogliere il nodo dell´assenza del governo delle risorse: «Una pesca sostenibile richiede volontà politica affinché gli incentivi a sfruttare in eccesso le risorse marine vengano sostituiti con incentivi per una gestione responsabile. Non si tratta solo di barche e pesci. Questo rapporto fornisce agli organi politici decisionali ampie argomentazioni economiche affinché si avvii la necessaria riforma del settore». Anche per la pesca, occorre eliminare «gradualmente i sussidi, che alimentano una capacità di pesca sovrabbondante e non necessaria, si migliorerà anche l´efficienza. Una maggiore trasparenza nella ripartizione delle risorse ittiche insieme ad una maggiore responsabilità pubblica nei confronti della gestione della pesca e dello stato di salute degli stock potrebbe aiutare le iniziative di etichettatura ecologica a certificare la pesca sostenibile».

Ma come si produce questa gigantesca perdita di ricchezza? In due modi, dice il rapporto: «Innanzitutto, stock ittici impoveriti vuol dire che vi sono meno pesci da catturare, e dunque il costo per individuarli e pescarli è maggiore di quanto potrebbe essere. Secondo, la capacità eccessiva delle flotte pescherecce si traduce nel fatto che i benefici economici della pesca vadano dispersi a causa di investimenti e costi operativi eccedenti». Fao e Banca mondiale sottolineano che lo stato economico della pesca mondiale appariva in declino già prima dell´aumento del prezzo del carburante avvenuto nel 2008. «Il graduale aumento delle flotte pescherecce, il dispiegamento di tecnologie sempre più potenti, l´inquinamento crescente e la perdita degli habitat hanno impoverito enormemente gli stock ittici mondiali. Le catture marine a livello globale sono stagnanti da oltre un decennio, e si aggirano intorno a 85 milioni di tonnellate l´anno. Allo steso tempo è declinata la produttività (misurata in termini di catture per addetto o per peschereccio) nonostante le tecnologie impiegate siano molto più avanzate e maggiore sia la capacità».

Per Kelleher: «Vi è una capacità di flotta peschereccia eccedente a livello globale. E flotte in esubero che competono per limitate risorse ittiche si risolvono in produttività stagnante ed inefficienza economica». Il rapporto spiega che, se gli stock marini fossero ricostituiti, i livelli di cattura attuale potrebbero essere raggiunti con circa metà dello sforzo di pesca odierno. Ormai ben il 75% degli stock marini mondiali sono sfruttati al massimo della loro capacità o n eccesso, ma lo stato economico della pesca versa in condizioni ancora più critiche: «quando gli stock ittici sono sfruttati al massimo della loro capacità, la pesca ad essi associata è quasi sempre al di sotto del livello economico ottimale. In alcuni casi la pesca potrebbe anche essere sostenibile dal punto di vista biologico, ma tuttavia operare a livello di perdita economica». Se si escludono alcuni settori remunerativi, il quadro di insieme che si presenta è quello di sussidi che servono a tenere in vita una pesca in perdita, sia economica che ambientale: «A livello globale, ogni tonnellata di pesce pescato usa quasi mezza tonnellata di combustibile, la maggior parte del quale sprecato in uno sforzo di cattura in eccedenza e superfluo».

Per Rolf Willmann, coautore del rapporto, «Al momento non si può dire che ci sia qualcuno che guadagni da questa situazione. I redditi dei pescatori in termini reali sono in crisi, molti settori dell´industria ittica non sono redditizi, gli stock sono impoveriti ed altri settori economici fanno le spese di un´industria ittica che versa in cattive acque». Come si recuperano questi miliardi "affondati"? Per Fao e Bm: «Primo, riducendo lo sforzo di pesca che farebbe aumentare la produttività, il rendimento e la prestazione economica. Secondo, ricostituendo gli stock ittici, fattore che porterebbe ad una maggiore resa sostenibile ed a minori costi. Un settore pesca in buona salute dal punto di vista economico è fondamentale non solo per la ricostituzione degli stock ma anche per assicurare migliori condizioni di vita, per le esportazioni e per la generale crescita economica. Le operazioni di pesca in mare sono solo una parte dei 400 miliardi di dollari dell´industria ittica mondiale. Sane attività di cattura rafforzerebbero l´intera filiera ad esse collegate, come le industrie di trasformazione e le attività di distribuzione, grande fonte di occupazione in particolare nei paesi in via di sviluppo». Willmann spiega che «Per ogni persona che lavora in mare, almeno altre tre persone trovano occupazione a riva. Per oltre un miliardo di persone il pesce rappresenta la principale fonte di proteine di origine animale. Il settore dà da vivere ad oltre 200 milioni di persone il 90% delle quali abita nei paesi in via di sviluppo».

Per questo, dice Kelleher «Riformare la governance è spesso politicamente difficile in particolare se implica una riduzione delle flotte pescherecce o del numero di addetti, dice, ma è ovvio che i diritti e le condizioni di vita dei pescatori devono comunque essere garantiti in qualsiasi processo di riforma».

Fortunatamente non mancano esempi positivi dei goverrnance che hanno ribaltato completamente la situazione, come quelle di Islanda, Nuova Zelanda e Namibia. Aumentano le richieste di rafforzare i diritti di uso, di accesso e di proprietà dei pescatori, per creare incentivi per una gestione responsabile: l´Asean ha chiesto un "pesca basata sui diritti", la Dichiarazione di Abuja per una pesca sostenibile in Africa, adottata del "Fish fo all summit" nel 2005, ha approvato il principio di una pesca basata sui diritti ed anche la pesca dell´acciuga in Perù, si sta muovendo in questa direzione.

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