[08/10/2008] Urbanistica

Il territorio come capacità collettiva. Conti: «Fare da sé ma non da soli»

LIVORNO. A Fiesole domani 9 ottobre e venerdì 10, presso la basilica di S. Alessandro, si terrà un convegno che vuole rappresentare un´occasione di confronto tra studiosi, esperti e politici sul valore del territorio come risorsa per l´equilibrato sviluppo del Paese. Titolo del convegno “Il territorio come capacità collettiva”. Tra i relatori c’è anche Riccardo Conti, Assessore al Territorio della Regione Toscana, che abbiamo intervistato per presentare l’evento.

Qual è l´obiettivo di questa kermesse?
«Vogliamo organizzare, a livello di politica culturale – i promotori sono infatti fondazione Italianieuropei, associazione Romano Viviani, la fondazione Cloe, insomma associazioni di area riformista - un appuntamento che dovrà diventare annuale. Dovranno diventare le giornate di Fiesole durante le quali fare una riflessione sulla politica del territorio a 360 gradi. Questo perché esiste un punto di vista riformista nell’approcciare questioni del territorio, della sostenibilità, del rapporto tra territorio e sviluppo, delle politiche di tutela, che è bene si esprima anche a livello di cultura politica e non solo a livello di azione di governo. Altrimenti pare che ci sia chi governa e chi si appropria del ruolo di presenza culturale che critica. Ora, la critica fa parte del governo, non è una cosa estranea, o che deve disturbare chi governa, ma dietro al governo c’è una cultura. Allora il confronto non è tra chi governa e chi critica, ma fra i diversi approcci culturali. Quindi la kermesse si pone l’obiettivo di affermare un punto di vista, di renderlo visibile, attraverso la presenza di intellettuali, attraverso il confronto politico, attraverso il rapporto tra cultura politica e governo del territorio. Non vuole rappresentare un momento di confronto tra punti di vista, che ci può comunque stare, ma soprattutto vuole rappresentare l’esplicitazione di un punto di vista, quello riformista, che cerca di tenere insieme tutela e sviluppo e che si ritrova nello slogan “l’ambientalismo del fare” e del “fare da sé ma non da soli”, proiettato appunto sulle politiche del territorio. Quindi un appuntamento di carattere chiaramente nazionale. La Toscana, infatti, è un luogo che organizza perché è probabilmente la regione d’Italia dove, con più chiarezza, si esercitano le azioni di governo da questo punto di vista e infatti è diventata una pietra dello scandalo, un termine di confronto per dirne bene o dirne male».

Qual è il messaggio che si vuol dare con l´affermazione "territorio come capacità collettiva" e come "le capacità collettive" stanno in relazione "alla cittadinanza attiva"?
«E’ il capabilities. Cioè la categoria che ha avuto molto successo in questi anni di Amartya Sen. Lui è un pensatore che ha un approccio a categorie di fondo come persone, diritti, tenore di vita, libertà come sviluppo, e una di queste categorie è la capacità. Lui si riferisce alle persone e rispetto all’approccio liberale di sinistra delle pari opportunità, preferisce adottare la categoria delle capacità. Per lui, semplificando, le nuove frontiere dell’uguaglianza stanno nella valorizzazione delle capacità di ognuno. E dunque: è possibile proiettare questa categoria di capacità sul territorio? Questo è l’approccio di questo evento. Si tratta di un’estrapolazione naturalmente molto libera, e si possono trovare un milione e mezzo di obiezioni che capirei tutte, però è il modo per cercare fin dall’approccio un’originalità nel porsi. Perché ragionare di capacità del territorio è ragionare di una categoria che può tenere insieme tutela e sviluppo; identità e futuro; i paesaggi con le trasformazioni; la cittadinanza attiva nel solco della convenzione europea per il paesaggio a cui concorre appunto la cittadinanza attiva con l’azione di governo. E rendere chiaro che ci sono contenuti e ci sono persone. Ci sono contenuti e ci sono movimenti, ci sono capacità e ci sono bisogni. Anni fa ci fu una discussione innescata da un’iniziativa socialista sui meriti e i bisogni e anche qui siamo un po’ su quella falsa riga. Però quella discussione la riprendiamo con la categoria della capacità. E la si proietta sul territorio. Come una componente attiva delle politiche di sviluppo del territorio che riceve cittadinanza attiva con scelte di contenuto, politiche di tutela, politiche di sviluppo. Viene letto insomma come un gradiente. Questo è particolarmente significativo per la Toscana dove sicuramente il territorio è una cifra dello sviluppo, non un mero contenitore, perché dalle immagini della Toscana nel mondo, alla completezza del rapporto tra lo sviluppo di piccole imprese e luoghi dove è avvenuto, c’è questo rapporto strettissimo dove il territorio non è mai una categoria indifferente».

I dati riportati ieri da Repubblica sul consumo di territorio dicono che la Toscana è sotto la media nazionale, ma non è affatto indenne, soprattutto in alcune aree, dai pericoli che derivano da un suo utilizzo non sostenibile. Non crede che anche la "capacità collettiva" sia insufficiente a determinare modelli e pratiche sostenibili?
«Intanto è stato affermato per anni da ambienti che volevano collocarsi alla sinistra di questo punto di vista una falsità, ovvero che in Toscana si stava peggio. Questa è un’evidenza. La fortuna di Asor Rosa, infatti, è stata sostenere che la Toscana era in emergenza. Allora, come si va a tirare fuori i dati si vede che questo non è vero e si scopre che in Toscana si sta meglio o meno peggio, se la si vuol dire così. Inoltre, i dati di Repubblica di Carlo Petrini sono dati che abbiamo già avuto modo di criticare e confutare perché già riportati sempre su Repubblica da Emiliani. E ora non ho voglia di ridirlo, perché si è fatto e si è detto ed è tutto chiaro, ma quei dati sono una disfatta della statistica. Un uso malaccorto della statistica. Perché sui rapporti relativi già rappresentano una situazione della Toscana più felice che altrove, inoltre noi abbiamo portato i dati Satellite che confutano quelli di Emiliani. Questi dati del Satellite sappiamo essere di grana grossa, però hanno una dismisura rispetto ai dati calcolati in quell’altro modo che è enorme. E tutti gli specialisti, non i pubblicisti, da Campus Venuti, da Legambiente e dagli stessi comitati hanno riconosciuto che quello di Emiliani è stato un infortunio. Quelli del Satellite ci dicono che la Toscana è modellata artificialmente per il 4,8 %, che ha avuto un livello di crescita di consumo di suolo sotto le medie nazionali, ma allarmante negli anni Novanta (+16%) e che negli anni 2000 è sceso al 3%. Registrando un successo della politica regionale: la legge V e la legge I hanno infatti messo al centro il consumo di suolo. La Toscana si può dire che ha attraversato il boom edilizio del dopoguerra riportando ferite meno ingenti che altrove. Ora questo non significa che ci sia stata buona architettura che infatti non c’è stata. Il problema che ha aperto la cultura riformista è proprio qui: come trasformare facendo bene. Dal punto di vista economico, progettuale, dell’inserimento ambientale: come si riproduce una contemporaneità all’altezza di quello che ha alle spalle. Una sfida? Certo, ma chi l’ha detto che i riformisti sono meno ambiziosi dei radicali?
Il punto è che non c’è niente di male nella sinistra che discute, ma quando ha discusso in certe forme come è avvenuto con il governo Prodi ha dato prova di un gigantesco effetto tafazzi. E di quel periodo fanno parte anche le polemiche sulla Toscana di una certa sinistra.
Ragionare sulle capacità collettive ci porta a questo: noi abbiamo introdotto per primi la distinzione tra piano strutturale e regolamento urbanistico, quindi tra piano strutturale e piano operativo con questo che ha una durata quinquennale, cioè anche i diritti edificatori dopo 5 anni scadono se non realizzati. Una riforma di enorme valore perché se uno pensa alla filiera della rendita, ai terreni che aumentano di valore via via stando lì, si apre un fronte. Un fronte che però dobbiamo tradurre in rapporto con investimenti pubblici e privati nell’ambito della sostenibilità e quindi avere al centro la figura dell’investitore e non quella del rentier, figura che sta molto tornando di moda. Privilegiare quindi l’imprenditore piuttosto che il proprietario di terreni, comunque una figura presente quest’ultima perché è un diritto. Capacità quindi ci porta da diverse parti. Durante questi due giorni presenteremo tante cose interessanti soprattutto su questo rapporto piano pubblico-progetto privato e nuovi rapporti tra piano e mercati».

Fra partecipazione e decisione, fra decentramento e federalismo e centralizzazione, si assiste ad un dibatito con proposte confuse e contraddittorie (Asor Rosa e il paesaggio che puntano "alla partecipazione centralizzata; Scajola e l´energia che deve essere ricondotta alla dimensione nazionale; referendum che una volta sono buoni e un´altra cattivi): qual è il mix giusto, secondo lei, per garantire democrazia e sostenibilità?
«Quello a cui stiamo assistendo è un mix di forze centraliste che oscillano da forze di centro destra federaliste a parole e centraliste nella pratica, e un centralismo strisciante della sinistra radicale (Asor Rosa è un centralista). Ma c’è anche una linea di sinistra riformista che è partecipazione, leggi regionali, obbligatorietà, processi di valutazione, e che è esplicitazione di una razionalità sociale. La frase chiave di questa linea è “fare da sé ma non da soli”. Riguarda il Comune che deve essere messo in condizione di fare da sé, ma non lasciato a fare da solo; riguarda la regione che deve pensare di fare ma non da sola, bensì con il territorio. E tutto questo può riguardare di nuovo le capacità. Cioè in un’epoca di esasperato individualismo dove si punta, sulla carta, sul via lacci e laccioli-individialismo, dove si è cercato di sostituire al welfare un meccanismo finanziario, io dico che la sinistra può dire fare da sé ma non da sola, con un programma dove ci sono le persone e l’orizzonte delle capacità collettive. Mi pare sia una buona parola per la sinistra. Come si vede, ragionando di territorio in Toscana siamo portati a ragionare di politica di cultura e questo è il nostro territorio e io mi auguro che diventi un tema centrale nell’agenda politica della Toscana e del dibattito politico culturale nazionale. Altrimenti esisterebbe una difformità di linguaggi, dove non si parla tra il centro e la periferia perché io parlo di territorio e gli altri parlano di una cosa che viene fatta continuamente a fette. Persone per le quali un giorno è ‘deroga ai piani regolatori per fare le case’, il giorno dopo è ‘tutto il potere ai sovrintendenti’, e non c’è mai un soggetto unitario. Lo sforzo per chi vuole organizzare un progetto di cambiamento è di farlo con razionalità sociale e partecipazione. Non possono essere le persone, intese come persone e come movimenti collettivi, estranei a uno sforzo di trasformazione, e questo è il riformismo».

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