[07/10/2008] Rumore

Rumore: l´attività di tiro a segno può continuare se i limiti assoluti della normativa sono rispettati

LIVORNO. Il Comune può prevedere la chiusura notturna anticipata di circoli ricreativi, di attività commerciali perché troppo rumorose, ma non può limitare considerevolmente le modalità di esercizio dell’attività di tiro a segno nel poligono se in assenza di zonizzazione acustica, i limiti di immissione assoluti previsti per legge sono rispettati.

Lo stabilisce il Tar di Reggio Emilia perché la disciplina del fenomeno dell’inquinamento acustico è sì di competenza regionale, ma in difetto di classificazione acustica del comune non è obbligatorio rispettare i limiti differenziali stabiliti dal legislatore italiano (ossia quelli determinati con riferimento alla differenza tra livello equivalente di rumore ambientale e di quello residuo) che sono direttamente legati alla destinazione d’uso del territorio (zonizzazione).

Il rumore accompagna da sempre la vita dell’uomo, ma solo da pochi anni è stato riconosciuto come possibile fattore di inquinamento e soprattutto come minaccia alla salute. Infatti il primo provvedimento in materia è del 1991, mentre la prima legge nazionale è solo del 1995 (in ritardo temporale rispetto agli altri settori: si pensi ad esempio alla prima norma per la tutela dell’ambiente atmosferico contenuta nella legge n. 615 del 1966).

Comunque è la prima legge che disciplina in materia organica la questione del rumore e che ha fatto del bene salute dell’uomo l’oggetto principale della sua tutela. Del resto il rumore può provocare fastidio o disturbo al riposo, alle attività umane e a lungo andare può creare pericolo per la salute, deteriorare gli ecosistemi, i beni materiali, i monumenti, l’ambiente abitativo o l’ambiente esterno.

La legge quindi prevede dei valori limite di emissione e immissione – quest’ultimi distinti in assoluti (ossia determinati con riferimento al livello equivalente di rumore ambientale cioè il livello di pressione sonora prodotto da tutte le sorgenti esistenti e attive in un dato luogo e in un determinato momento) e differenziali (che sono il risultato della differenza fra il rumore ambientale e il livello di pressione sonora che si rileva dopo l’esclusione della specifica sorgente disturbativa) - in base alle sorgenti sonore e in riferimento alle diverse destinazioni d’uso in cui dovrebbe essere diviso il territorio comunale cioè la così detta zonizzazione che ogni singolo comune è tenuto ad attuare.

C’è stato poi un ulteriore provvedimento ossia il d.p.c.m. del 14 novembre 1997. Il provvedimento ha dato attuazione alla legge prevedendo limiti diversi a seconda della tipologia della sorgente, del periodo della giornata e appunto, della destinazione d’uso della zona. In particolare definisce sei classi di destinazione d’uso e per le sei zone definisce diversi valori limite. Ma senza zonizzazione è difficile poter pensare di applicare il valore limite di immissione differenziale.

In più il d.p.c.m. nel disciplinare il regime transitorio (ossia il periodo di assenza di zonizzazione) non prevede il rispetto dei valori limiti di immissione differenziali ma solo di quelli assoluti (se si legge l’articolo 6 primo comma ci rendiamo conto che il riferimento è solo ai limiti assoluti e non differenziali).

In verità il Ministero dell’Ambiente con la circolare del 1997 cerca di giustificare il silenzio della norma sostenendo che anche i differenziali dovessero essere applicati perché ancorati ad una suddivisione del territorio determinata “dalla disciplina urbanistica, si da non richiedere una specifica norma che ne autorizzi l’operatività”.

Ma per giurisprudenza – compreso anche il Tar emiliano - tale tesi non giustifica l’operatività dei limiti differenziali, che dunque non dovranno essere applicati a differenza di quelli assoluti.

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