[07/10/2008] Comunicati

La filantropia ambientale in tempo di crisi: fare di più con meno

BERCELLONA. Al World cionservation congress di Barcellona si guarda con molta preoccupazione agli effetti che potrebbe avere il crack economico mondiale sulla filantropia ambientale. Probabilmente le donazioni e i finanziamenti diminuiranno e chi difende l´ambiente sarà costretto a fare di più con meno. Uno slogan che circola con preoccupata ripetizione nelle sale dell´International convention center di Barcellona.

E´ stato quindi molto seguito l´incontro organizzato al congresso dell´Iucn sul contributo della filantropia ad un futuro sostenibile anche come business a lungo termine. Ken Wilson, amministratore delegato del Christensen Fund Usa, assicura: «Noi non interromperemo domani il finanziamento di progetti, anche se la tendenza è quella di fare di più con meno, cercheremo di effettuare una transizione senza problemi». Wilson pensa che la crisi in atto sia un elemento fondamentale per ripensare le fondazioni come la sua, soprattutto perché la maggior parte dei fondi necessari alla loro attività vengo dagli investimenti finanziari: «Così come stiamo cercando di avere che non richieda la crescita economica, le fondazioni avranno bisogno di un economia che non richieda la crescita finanziaria».

La tendenza che si presenta a lungo termine è quella della fine dell´egemonia degli statunitensi nel campo della filantropia ambientale, che ha caratterizzato il XX secolo anche grazie agli sgravi fiscali usa per le donazioni, probabilmente i nuovi finanziamenti verranno dalle enormi ricchezze accumulate in Asia e nei Paesi petroliferi.

Per Maria Blair, amministrazione delegato della Rockefeller Foundation, la nuova situazione porterà ad un necessario cambiamento di strategia: «Questo apre nuove ed è un catalizzatore e dimostra l´importanza di lavorare con partner locali, più spesso con le imprese che con le fondazioni».

Una previsione non proprio tranquillizzante mentre le imprese chiedono a gran voce il soccorso dello Stato. Ma che ci sia un problema di comunicazione diretta tra donatori e popolazioni locali e forse troppi "filtri" lo rivela anche l´intervento di Stephanie Meehan, dell´Inuit Polar Council, che ha chiesto di avere indicazioni su come le organizzazioni che rappresentano i popoli indigeni debbano muoversi per lavorare meglio insieme alle fondazioni filantropiche: «I popoli indigeni sono i più poveri e emarginati, ma siamo in grado di offrire alcune delle soluzioni più promettenti per il pianeta. Il popolo Inuit ha dimostrato un livello di adattabilità come nessun altro».

Per Ken Wilson, l´utilizzo la sapienza e la creatività indigena è centrale per il lavoro della sua organizzazione «Offre soluzioni di cui la società democratica non sembra capace». Il dibattito è poi passato ad analizzare il rapporto tra affari e filantropia. Secondo Graham Smith, presidente del Toyota Fund for Europe, questa è una delle sfide maggiori «Ci siamo impegnati per una mobilità sostenibile, ma dobbiamo far fronte alle conseguenze dell´uso delle automobili, sia per la loro fabbricazione che per i costi esterni. E questo passa dal disign tecnologico alle abitudini individuali. Non possiamo predicare un futuro sostenibile e poi utilizzare noi stesso in maniera del tutto inadeguata le nostre auto aziendali, dobbiamo fare i passi giusti e cercare di ispirare altri a fare lo stesso».

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