[29/09/2008] Monitor di Enrico Falqui

La città creativa

FIREMZE. “La città contiene la sua storia, ma non la racconta”: descrivendo Zaira, nel suo capolavoro “Le città invisibili”, Italo Calvino ci invitava a mettere in narrazione la città, a estrarre dal sistema urbano le voci, le domande, le aspirazioni della città e a trasformarle in “comunicazione”.

Oggi, a 35 anni di distanza dall’uscita di quel libro fondamentale per ciascun “cultore della città”, la città contemporanea è divenuta globale, aumentando non solo la complessità della sua interpretazione, ma anche il grado di frammentazione e di dispersione.

All’interno della città contemporanea sono leggibili una molteplicità di città parziali, spesso invisibili ma dense di significati e di ispirazione progettuale, per chi sappia interpretarle in una cornice antropologica nuova.

Italo Calvino ci ha dato una “traccia” per far uscire l’urbanistica contemporanea dalla crisi di “linguaggi e di metodi interpretativi” della città contemporanea, che non siano quelli della crescita infinita e dell’adattamento alla metropoli diffusa.

La risposta alternativa a questo mito di crescita illimitata della città è quello di progettare, invece, il sistema urbano come un potente sistema cognitivo, interpretativo e comunicativo che, partendo dai segni della storia del territorio, è capace di trasformarsi ricomponendo identità multiple della comunità e dell’ecologia urbana, prefigurando scenari di sviluppo ecologicamente sostenibili e “creativi”.

In questi giorni, si è svolto a Napoli, presso l’Università Federico II, un importante convegno internazionale sul tema della “città creativa”, un’utopia che ha sempre permeato la cultura urbanistica, fin dall’800, ma che oggi, nell’era multimediale, riappare come stimolo critico alla costruzione di un’Ecocity, nella quale convergono una pluralità di percorsi e di approcci culturali.

Uno di questi percorsi è stato indicato, alcuni anni fa (2002) da Richard Florida, il quale, nel suo libro “The rise of the Creative Class”, aveva finalmente fatto giustizia dei luoghi comuni del “marketing territoriale”, che tutt’ora stanno alla base delle politiche di “governance” di molte città italiane.

Secondo le nuove teorie di R. Florida, il successo di una città non dipende semplicemente da quanto basse sono le tasse che fa pagare, da quanto a buon mercato è la sua manodopera e da quanto efficienti sono le infrastrutture e i servizi che offrono ai propri cittadini.
Una città di successo è quella dove vivono i lavoratori più ricercati della nostra epoca : i creativi ovvero, nella sua definizione colta, i “produttori di conoscenza”.

Possedere questo “capitale umano” è una condizione necessaria per avere successo come città che compete sui mercati internazionali delle nuove “città globali”, ma non è di per sé una condizione sufficiente.
Ci vogliono anche altre caratteristiche, che l’economista canadese Florida definisce nel suo nuovo libro “ Who’s you city”(2008) quale quella di possedere la giusta “personalità”, sia come ambiente sociale e culturale, sia come ambiente e paesaggio urbano.

La città contemporanea deve tornare ad essere una sorta di “enciclopedia della comunità”, luogo cioè nella quale si ritrovano tutte le componenti della vita umana e nella quale si attribuisce un elevato valore alla compartecipazione della conoscenza e a quella dell’organizzazione e del governo del territorio.

Berlino, ad esempio, è una metropoli che in meno di 15anni ha cambiato pelle decine di volte, accettando la sfida della trasformazione urbana dopo la ricomposizione tra Germania ovest e DDR (1989).
Essa è divenuta il più vivace “laboratorio creativo della vecchia Europa”, in una felice descrizione di Gunther Grass, mentre Cohn-Bendit afferma che, in nessun altra città del mondo ad eccezione di Berlino, oggi, “puoi sentirti ospite della Storia e, al tempo stesso, riuscire a cogliere un autentico scorcio di futuro”.

In questa città si sperimenta il nuovo più audace( acciaio,, cristalli e fantasia), qui sono stati ingaggiati gli architetti, i designer, gli artisti più famosi del momento, proprio come accadde a Firenze durante il Rinascimento italiano.

A Berlino si contano oggi 170 musei, circa 400 teatri e quasi 300 gallerie private, mentre il cuore della nuova “città bohèmienne” di Berlino, Mitte, si è riempito di centinaia di locali di tendenza, di cantine, di club alternativi.

La straordinaria “lezione urbana” di Berlino è quella di aver compreso per tempo che, proprio quando una città arriva al culmine del suo declino e l’economia è in stagnazione, quello è l’ambiente idoneo a soddisfare una domanda di “conoscenza e creatività” che può convincere gli investitori a rilanciare l’ascesa di quella città.

E’ successo anche con Bilbao, prima dell’eccezionale Piano di rigenerazione urbana che ha risanato le aree industriali dei cantieri navali dismesse, degradate e inquinate e che, successivamente, ha avuto il suo apogeo nella costruzione del Museo Guggenheim, per opera di Frank Gehry.

E’ successo a Nagahama,una città di 84.000 abitanti della regione di Shiga, come ha spiegato la sociologa giapponese Emiko Kakiuchi, facendo leva sul “ sapere antico” della lavorazione del vetro , favorendo l’insediamento di una imprenditorialità giovanile altamente creativa, che ha trovato l’ambiente urbano giusto per insediarsi, favorendo la rigenerazione della piccola città giapponese, oggi frequentata da un’incredibile massa di turisti che provengono da ogni parte del Paese.

Già 25 anni fa, nord-est dell’Inghilterra, in particolare nelle città di Newcastle e di Gateshead, si erano sperimentate tecniche avanzate di “rigenerazione urbana” nelle aree che, nel corso dell’800, erano divenute famose nell’economia mineraria, siderurgica e navale, tanto da essere definite “l’officina del mondo”. Infatti, proprio in queste città, ebbero origine le due invenzioni centrali della rivoluzione industriale: la locomotiva di Stevenson e la turbina elettrica di Parson.

In questa regione inglese, degradata dallo storico insediamento industriale e in pieno declino, a causa della dismissione della gran parte delle fabbriche, falcidiate dalla competizione economica globale, si è saputo sperimentare l’utopia della rinascita della città, attraverso un progetto di lungo periodo destinato a immettere nell’ambiente urbano (oltre che i capitali necessari) conoscenze, creatività e personalità.

L’idea centrale di questo progetto consisteva nell’attrarre l’attenzione della popolazione locale di Newcastle sulle arti visive (istituendo e finanziando un grande evento nazionale nella regione, denominato Year of Visual Arts) incrementando la partecipazione e l’accesso effettivo all’arte da parte di un pubblico sempre più ampio. Nello spazio di 15 anni (1980-1996) si è creato l’ambiente urbano ideale per un’azione di rigenerazione urbana e di sviluppo ecologicamente sostenibile, che ha portato questa città inglese a essere riconosciuta Capitale europea della Cultura, proprio come è accaduto a Firenze, alcuni anni fa.

La differenza tra Newcastle e Firenze, sta, però nel fatto, che quest’ultima ha ricevuto questo riconoscimento a causa del patrimonio storico,artistico,culturale accumulato dal Rinascimento ad oggi, non per quello che ha saputo fare negli ultimi vent’anni.

Da questo punto di vista, il Congresso di Napoli “Creative City” ha saputo raccogliere una vera e propria enciclopedia delle varie tipologie di “ creatività” che devono essere immesse nella cultura urbana delle città in declino o che cercano un’alternativa all’incessante incremento dell’urban-sprawl.

Non tutte le ricette presentate sono convincenti, non tutte le strategie urbane delineate al Congresso hanno il certificato della “sostenibilità dello sviluppo”; tuttavia, quel che è apparso il filo conduttore di questa kermesse della creatività urbana, è la comune convinzione che l’antico sogno di Patrick Geddes e del suo allievo, Lewis Mumford, di dotare la città contemporanea di un capitale aggiuntivo e costantemente aggiornato di conoscenze, di saperi, di informazioni per garantire la sostenibilità sociale ed ecologica della città, ha trovato a Napoli, insieme a città come Firenze, Palermo,Venezia, Torino, un potenziale “habitat ideale” per divenire concreta sperimentazione di progetti di trasformazioni e rigenerazioni urbane, attraverso la creatività di una nuova classe di architetti, urbanisti, economisti, antropologi, sociologi, ecologi urbani e paesaggisti.

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