[23/09/2008] Consumo

Ogm in salsa cinese

ROMA. La Cina investirà l’equivalente di 3,5 miliardi di dollari nei prossimi anni nella ricerca sugli Ogm. Con due obiettivi: aumentare il numero delle specie geneticamente modificate in commercio e scoprire geni preziosi (per l’agricoltura, ma anche per la farmacologia) nelle piante selvatiche. L’iniziativa segna una svolta non banale nella politica di Pechino sulle “biotecnologie verdi”. Sia perché le autorità cinesi hanno deciso di trasformare in “big science”, ovvero in una struttura fortemente coordinata e dotata di enormi risorse finanziarie e umane, questo settore di ricerca, rendendolo di fatto di rilevanza strategica. Sia perché essa prelude a un cambiamento nell’uso commerciale degli Ogm.

Contrariamente a quanto molti ritengono, le regole sulla ricerca e, soprattutto, sul commercio degli Ogm in Cina sono piuttosto restrittive. Non quanto l’Europa, forse. Ma certo più che nelle Americhe. In questo momento nel grande paese asiatico sono in atto 211 esperimenti sul campo che coinvolgono 20 diverse specie di piante geneticamente modificate. Ma finora il governo ha consentito il commercio di sole sei specie vegetali tutte geneticamente modificate per resistere all’attacco di insetti. Tra queste solo il cotone – che non ha un uso alimentare – ha trovato largo uso commerciale: il 70% della cotone cinese è ormai geneticamente modificato. Sebbene richiesto, il governo di Pechino non ha invece (non ancora, almeno) acconsentito all’impiego commerciale di riso geneticamente modificato. Le autorità sono state finora molto prudenti: una scelta sbagliata riguardante la pianta fondamentale dell’alimentazione degli 1,3 miliardi di cinesi potrebbe avere effetti devastanti.

Il grande progetto di ricerca sugli Ogm modificherà l’atteggiamento di prudenza? La domanda assume particolare rilievo proprio mentre, in questi giorni, l’industria agro-alimentare cinese è nella bufera: apprendiamo infatti che oltre 53.000 bambini sono stati contaminati da latte alla melanina.

Non conosciamo la risposta alla domanda. Certo fa riflettere il fatto che la Cina abbia deciso di accompagnare il progetto di ricerca sugli Ogm con una strategia di comunicazione incentrata sull’education, sull’educazione, piuttosto che, come avviene in Europa, sul dialogo con i cittadini intorno ai rischi (sanitari ed ecologici) e alle opportunità (economiche o alimentari).

Poiché le piante (e anche i loro derivati) non riconoscono i confini, quello che succede in Cina riguarda anche noi (e viceversa, ovviamente). Cosicché, ancora una volta, emerge forte l’esigenza di concordare a livello internazionale le regole per il governo della tecnoscienza. Non è più tempo di deregulation e di ognuno fa come gli pare.

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