[17/09/2008] Comunicati

Crisi finanziaria: se si sbaglia l´analisi si sbaglia tutto

LIVORNO. Evitato il fallimento dell’Aig. Il salvataggio all’ultimo respiro è arrivato dalla Fed che le ha accordato un finanziamento da 85 miliardi di dollari. Smentendo le ultime parole (famose) del candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain («Lasciamo che Aig fallisca, un salvataggio pubblico sarebbe un azzardo morale»), proprio il presidente Bush, che dovrebbe essere il suo mentore, ha appoggiato il piano di salvataggio con la banca centrale del Tesoro che prevede inoltre che il colosso assicurativo passi sotto il controllo del Governo. Una decisione definita storica dalle agenzie di stampa visto che, a differenza di Fannie Mae e Freddie Mac, Aig non è neanche regolata dal governo federale.

La Fed, dunque, ha scelto di sacrificare solo Lehman Brothers (per ora) e con questa nuova mossa a sorpresa confida di tranquillizzare un po’ il mercato, avendo evitato un crac con conseguenze a dir poco disastrose sui mercati americani e mondiali, visto che Aig ha un bilancio da 1.040 miliardi di dollari, e che se fosse fallito avrebbe rischiato di innescare un effetto domino, che avrebbe bruciato, pare, qualcosa come 180 miliardi di dollari solo alle istituzioni finanziarie.

Insomma, la crisi va avanti a vele spiegate e non si intravede né la fine, né si possono effettivamente prevedere le conseguenze. Gli economisti più accreditati, invece, stanno di vedetta sull’albero più alto della nave e confidano che prima o poi dal binocolo apparirà la terra. Che la nave stia nel frattempo affondando però non pare saltare in mente a nessuno. Neppure come ipotesi.

Uscendo di metafora oggi il Sole24Ore, in attesa del verdetto su Aig, propone tre “ricette” diverse per curare la malattia dell’economia: sospendere la regola del mark-to-market (proposta di Zingales); non ripetere gli errori commessi nel ’29 (analisi di Alberto Alesina); semaforo rosso contro l’azzardo morale (di Alessandro Merli). Paradossale che l’unica voce fuori dal coro non arrivi da sinistra ma da Tremonti, che parlando del fallimento di Lehman Brothers vi ha intravisto "un mondo che è finito" con la globalizzazione finanziata dal debito, aggiungendo poi che adesso "occorre fare nuove regole" e le regole devono farle "i governi e le autorità" vietando i paradisi fiscali e i bilanci falsi delle aziende, dichiarazioni quest’ultime che, visto che fa parte di un governo che ha proprio tolto il falso in bilancio tra i reati, dà il senso della credibilità del personaggio.

Sull’analisi della crisi infatti, sembrano tutti d’accordo che bisogna solo aspettare che passi, o al massimo cercare qualche leva per farla passare e riprendere il cammino esattamente come prima. Con buona pace di chi ne pagherà le conseguenze più gravi. Tant’è che ieri è intervenuto anche il governatore di Bankitalia Mario Draghi definendola la crisi tra le «più dure e complesse dei nostri tempi» e aggiungendo che «le sfide saranno sostanziali: restaurare la stabilità dei prezzi per sostenere la crescita e garantire che i necessari aggiustamenti nei bilanci bancari e in quelli delle famiglie, oltre che la correzione degli squilibri mondiali, avvengano in modo ordinato».

E anche Draghi ha la sua ricetta per affrontare le crisi finanziarie per le quali serve «una più forte cooperazione e la condivisione delle informazioni tra le autorità sia nazionali sia transfrontaliere» oltre a «una maggiore trasparenza e un miglioramento dei processi informativi da parte del settore privato per permettere di valutare pienamente le condizioni del sistema finanziario e per formulare una politica economica appropriata».
Insomma: siamo alla buona volontà, alla mozione degli affetti.

La crisi inoltre spaventa pure il presidente dell´eurogruppo Jean-Claude Juncker impegnato sulla ratifica del Trattato di Lisbona che a questo punto, ha detto, «entrerà in vigore non prima del gennaio 2010». Per essere applicato già in occasione delle elezioni europee del prossimo giugno, ha osservato Juncker, il Trattato dovrebbe essere ratificato da tutti i 27 Paesi entro febbraio e questa non è una ipotesi realistica. Anche perché «in seguito alle attuali difficoltà economiche c´é una generale crisi di fiducia e in questo clima convocare un nuovo referendum sarebbe pericoloso».

Al di là degli allarmi e di previsioni più o meno pessimistiche sulla fine di questa crisi globale, la questione più seria (che pare però ignorata dai più) ci pare essere che questo modello di rapporti fra pubblico e privato, fra politica ed economia ci ha portato esattamente dove eravamo diretti (parafrasando Mao) e che se non si cambia questo rapporto, la fine della crisi derivata dal triangolo globalizzazione-finanziarizzazione-informatizzazione dell´economia, in assenza di governance efficace, non la vedremo mai. Mentre sicuramente ne vedremo le conseguenze catastrofiche.

Le azioni si limitano ad accorgimenti, pezze di qui e di là, salvataggi e vittime sacrificali, interventi dello Stato o briglie sciolte al mercato: una giostra dalla quale bisognerebbe scendere a prescindere dal fatto che questo modello ha pure messo alle corde il pianeta dal punto di vista dei flussi di materia e di energia ed è già assai insostenibile pure dal punto di vista sociale. Perché ad essere andato in crisi, appunto, è proprio l´idea per cui tutti dovevamo beneficiare di una competizione senza verso e che invece si sta rivoltando contro di noi. E nei confronti della quale i ‘vigili di quartiere’ come i garanti, le agenzie di rating e gli Antitrust che dovevano impedirne le uscite di strada, hanno fallito.

Le regole che si è dato il mercato per far funzionare il mercato non hanno impedito la crisi, anzi, l’hanno generata almeno dalla caduta del muro di Berlino ad oggi. Cancellato il fallimentare modello sovietico vent’anni fa e abbandonato con esso il paradigma del dirigismo, assunto il turboliberismo come faro in cui gli unici interventi da parte dello Stato erano vieppiù quello di individuare un´autorità con la funzione di vigilare e smistare il traffico a prescindere dalla sua direzione, oggi quel faro sta andando in tilt.

E l´economia mondiale è sull’orlo (se non oltre) del precipizio. Già affrontare questo problema enorme necessiterebbe innanzitutto una analisi concreta della situazione concreta che peraltro non c’è, ma ancora più arduo appare il tentativo di metterci mano se neppure si riconosce questo come il nodo da sciogliere. Se si sbaglia l´analisi si sbaglia tutto.

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