[04/09/2008] Parchi

Accordo internazionale su criteri guida per proteggere specie e habitat d´alto mare

LIVORNO. Ci sono voluti due anni di negoziati, ma alla fine i Paesi membri della Fao sono riusciti ad adottare criteri guida internazionali per limitare l´impatto della pesca sulle specie e gli habitat fragili delle acque profonde. Alla consultazione tecnica hanno partecipato 69 Paesi, l´Unione Europea e le isole Faroer, un arcipelago autonomo della Danimarca, e 14 organizzazioni intergovernative e non-governative come osservatori. La gestione della pesca in acque profonde d´alto mare, al di fuori delle zone economiche marittime nazionali, è sempre stata difficile, visto che richiede soluzioni multilaterali che implicano il coinvolgimento non solo dei Paesi le cui navi sono impegnate nella pesca, ma anche di altri Stati.

Secondo la Fao, «Le linee guida forniscono un quadro normativo a cui i paesi devono fare riferimento quando pescano in zone al di fuori delle giurisdizioni nazionali, dove avviene la pesca in acque profonde. Stabilendo che tutte le attività di pesca d´alto mare dovrebbero essere "gestite in modo rigoroso", si configurano misure per identificare e proteggere ecosistemi vulnerabili e fornire indicazioni su un uso sostenibile delle risorse marine».

Ecco alcuni dei criteri guida proposti: I paesi devono monitorare la pesca in acque profonde svolta dalle proprie flotte allo scopo di determinare se vi siano effetti negativi sulle risorse marine; Le attività di pesca in acque profonde devono essere sospese se nelle zone dove sono condotte si ritiene possano avere un impatto negativo su ecosistemi marini vulnerabili; Laddove la pesca può essere intrapresa in modo responsabile, devono comunque essere impiegati metodi di pesca più appropriati per ridurre l´impatto anche sulle specie non-bersaglio; Le linee guida delineano anche misure per conoscere meglio la localizzazione e lo status degli ecosistemi e delle risorse d´alto mare.

Ichiro Nomura, vice-direttore generale della Fao per il dipartimento pesca e acquacoltura, spiega che «Sinora non vi è stato un vero e proprio quadro di riferimento per affrontare queste questioni. Queste linee guida sono uno dei pochi strumenti pratici a nostra disposizione e rappresentano un grosso passo avanti in quanto affrontano in modo integrato le preoccupazioni di tipo ambientale e la gestione responsabile della pesca». Uno dei più grandi problemi della pesca in acque profonde è che molte delle specie che vivono in questi oscuri habitat crescono lentamente, raggiungono tardi la maturità sessuale e si riproducono spesso con tempi molto lunghi, non sempre su base annuale. La pesca intensiva ha quindi su molte di loro un effetto devastante nel tempo, e per ricostituire gli stock a volte occorrono generazioni. Proprio a questo si deve il depauperamento improvviso di intere specie commestibili che sembravano numerosissime e sono collassate in tempi brevi.

Ma il problema dell´impatto della pesca industriale di profondità è più vasto, non riguarda solo le specie commestibili, ma interi e vastissimi ecosistemi dei quali sappiamo ancora molto poco. «La pesca in acque profonde d´alto mare solleva inoltre gravi preoccupazioni per specie vulnerabili, come i coralli e le spugne d´acqua fredda, e per i fragili habitat di infiltrazioni e ventilazione dei fondali marini che ospitano specie uniche che non si trovano in nessun altro posto, e formazioni caratteristiche come i "i monti sottomarini", spesso dimora di specie sensibili - sottolinea la Fao - Poiché la pesca in acque profonde è un´attività relativamente recente, che richiede considerevoli risorse in termini di investimenti e tecnologie, pochi Paesi hanno sinora elaborato politiche e piani d´intervento su come gestirla persino nelle proprie acque territoriali»

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