[03/09/2008] Consumo

La rapidità dei cambiamenti climatici, la lentezza delle decisioni

ROMA. Più delle prediche degli ambientalisti sono le struggenti immagini degli orsi bianchi alla deriva nell’artico o quelle dell’evacuazione finalmente tempestiva e preventiva di New Orleans, per l’arrivo dell’uragano Gustav, a ricordarci la drammatica sproporzione che c’è fra la rapidità con cui procedono i cambiamenti climatici e l’estrema lentezza con cui le classi dirigenti di tutto il mondo, soprattutto quello ricco e sviluppato, sono capaci di prendere decisioni in grado di fronteggiarli. E più a fondo si guardano quelle immagini e più si percepiscono anche le colpe e le responsabilità di queste tragedie, da tempo previste dalla scienza.

In primo luogo quelle della presidenza Bush, finanziata ed orientata dai petrolieri, in nome dei quali il pianeta è stato portato sull’orlo di una guerra mondiale per conquistare il controllo del poco petrolio rimasto e che ha sfilato l’America, il principale responsabile del riscaldamento globale, da ogni impegno a contrastarlo.

Nelle orecchie degli oltre due milioni di persone in fuga da New Orleans, inseguite dall’ennesimo uragano stavolta un po’ più clemente, risuoneranno sinistramente le parole con cui Bush padre chiuse ogni speranza di un coinvolgimento americano nella lotta al cambio di clima: “il nostro stile di vita non è negoziabile”.

Colpe e responsabilità che sono anche dell’Europa, che troppo tardivamente e con troppa prudenza ha compreso che solo procedendo unilateralmente era possibile isolare il conservatorismo americano e conquistare l’impegno di Russia, Cina, India e Brasile a una lotta contro l’effetto serra.
E infine responsabilità di questi ultimi paesi per aver affidato il loro progresso e il loro futuro al modello di sviluppo e di consumi occidentale, pur essendo consapevoli che esso era ed è la causa del collasso climatico ambientale del pianeta.

Non c’è più molto tempo per recuperare i ritardi e neppure per fermare la tentazione di usare le armi, che in modo crescente tutti hanno accumulato negli arsenali, per risolvere il problema dell’impossibilità delle fonti energetiche non rinnovabili, uranio compreso, di soddisfare una domanda in costante espansione.

Un’inversione di tendenza oltre che necessaria è possibile, ma dipende dal realizzarsi di tre condizioni. La prima riguarda i tempi e la determinazione con cui l’Europa procederà nelle sue scelte unilaterali; la seconda è che si produca una svolta radicale nelle politiche energetiche degli Usa, che solo la vittoria di Obama nelle prossime elezioni presidenziali può garantire, se solo saprà tener fede alla promessa di liberare in 10 anni l’America dalla schiavitù del petrolio; la terza è che il realizzarsi di queste due prime condizioni spinga il resto del mondo, in particolare Cina, Russia, Brasile, ed India, ad abbandonare il modello di crescita climalterante che fino ad oggi hanno inseguito, diventando quindi co-protagonisti di un nuovo modello di sviluppo sostenibile e durevole.

Solo la realizzazione di tutte e tre queste condizioni può fermare la corsa del pianeta verso esiti catastrofici. Per quanto ci riguarda è solo sulla prima delle tre che è possibile influire, cercando di rendere protagonista questo paese nelle decisioni europee sul clima. Fino ad oggi a prevalere è stato il boicottaggio di tutte le scelte europee di procedere unilateralmente alla riduzione delle emissioni. Tutto ciò è avvenuto senza una visibile opposizione.

Nelle scorse settimane dalle colonne del Manifesto è stata chiesta da Alfiero Grandi una mobilitazione che abbia come obiettivo dichiarato un referendum contro il ritorno al nucleare, deciso dal governo Berlusconi. Questa prospettiva per essere realistica e conquistare consensi dovrà riuscire a fare del rifiuto del nucleare la leva con cui ridefinire il ruolo di questo paese nella lotta al riscaldamento globale. Affinché ne diventi un protagonista più che di quesiti referendari c’è bisogno di radicare nei territori una proposta energetica alternativa, che convinca la maggioranza delle italiane-i che è possibile avere, senza il nucleare, l’elettricità e il calore che servono: basta usare le fonti rinnovabili e con intelligenza l’energia.

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