[21/04/2006] Comunicati
E intanto la polverizzazione delle imprese pone problemi di competitività e di impatti
FIRENZE. Dagli studi compiuti dal gruppo di lavoro «Toscana 2020», si conferma come la Toscana sia una delle regioni italiane in cui il peso delle microimprese, sia in termini di unità di produzione che di occupazione, risulta più consistente. In particolare, queste imprese occupano il 34% degli addetti manifatturieri, mentre in Emilia Romagna la percentuale scende al 22%, in Veneto al 21%, in Lombardia al 19%. Al contrario, la presenza di imprese di grandi dimensioni è marcatamente più contenuta: l’incidenza degli addetti in quelle con più di 100 addetti è in Toscana del 18%, mentre nelle grandi regioni del Nord si raggiunge e si supera il 30%.
Nel corso degli anni ‘90, questa caratteristica della Toscana non solo non ha ha registrato cambiamenti significativi, ma il processo di crescente terziarizzazione ha determinato, come del resto è avvenuto nelle altre regioni italiane, una ulteriore riduzione della dimensione media di impresa. Infatti, mentre a livello nazionale la dimensione media complessiva passa da 4,4 a 3,8 addetti per impresa, in Toscana scende da 3,8 a 3,4. A definire questo dato contribuisce in particolare la piccolissima dimensione delle imprese terziarie: 2,6 addetti nel commercio, 2,9 negli altri servizi. Per quanto la dimensione delle imprese industriali risulti mediamente superiore rispetto a quella del terziario (in Toscana si passa da 5,6 a 5 addetti per impresa) la piccolissima dimensione resta la caratteristica prevalente anche nel comparto manifatturiero.
Una conformazione dell’impresa che pone problemi non solo di competitività, nel quadro di un’economia globalizzata, ma anche di diffusione degli impatti e di conseguente problematicità nella gestione dei controlli. Il fatto, ovvio, che ciò che non è controllato non è neanche misurato, finisce per circoscrivere la percezione singola e collettiva del rischio ambientale ai luoghi e alle situazioni conosciute e monitorate.