[01/09/2008] Aria

Ozono, ancora mezzo secolo per chiudere il buco: ma è vittoria dell´ambientalismo

LIVORNO. Nel 1995 Mario Molina, Sherry Rowald e Paul Crutzen vinsero il premio Nobel per la chimica per le loro ricerche capaci di diventare la nostra “salvezza dalla catastrofe ambientale”. Era la prima volta – ricorda Aisling Irwin nel suo articolo ‘Una favola ambientale’ – che un premio Nobel veniva assegnato per ricerche sull’impatto ambientale di attività economiche umane. Stiamo parlando degli studi sul buco dell’ozono e delle equazioni dei tre ricercatori che hanno permesso di scoprire il ‘buco’, capirne le cause e trovare le possibili soluzioni per porvi rimedio. Una favola, appunto, perché in alcun altro caso un danno ambientale di queste dimensioni è stato affrontato globalmente e se ne sta effettivamente venendo a capo. Non in tempi così rapidi come qualcuno pensava, tant’è che le ultime previsioni dicono che il buco dovrebbe richiudersi nel giro dei prossimi 50-60 anni. Una previsione che arriva – spiega l’Ansa - utilizzando modelli matematici negli anni sempre più precisi, anche grazie a potenti pc, ma che soprattutto deve molto alle campagna di misurazione condotte da progetti internazionali ai quali ha partecipato in prima fila l´Italia.

Il punto su dieci anni di lavoro in questo campo sarà la presentazione del Cnr al quarto Simposio internazionale Sparc (Stratospheric processes and their role in climate), un progetto internazionale del Wcrp (World climate research programme), che vedrà 400 scienziati ed esperti da tutto il mondo fino al 5 settembre presso l´area della ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna. Al centro dei lavori lo studio della stratosfera, la regione atmosferica compresa fra 12 e 60 km di altezza.

Dalle misurazioni condotte utilizzando un ex aereo spia russo (M55), è emerso che la circolazione a questo livello delle masse d’aria influenza anche la sottostante troposfera e, indirettamente, le condizioni meteorologiche sulla Terra. Inoltre questi sistemi convettivi, nella forma di grandi nubi, trasportano le sostanze inquinanti ed aumentano il vapore acqueo (potente gas serra).
I risultati di queste osservazioni hanno quindi contribuito a sviluppare modelli matematici dai quali, come detto, emerge una previsione ottimistica riguardo la variazione del clima: entro il 2070, il buco dell’ozono dovrebbe richiudersi.

Come racconta sempre Irwin nel suo articolo pubblicato dentro “Equilibrio perfetto” di Graham Farmelo, «Un miliardo di anni dopo la formazione dell’ozono, gli esseri umani hanno raggiunto una fase della loro evoluzione nella quale sono diventati capaci di distruggerlo. Per fortuna questo momento coincise quasi esattamente con quello in cui cominciarono a capirlo. Occorsero un certo numero di passi concettuali per capire la formazione e distruzione naturale dello stato di ozono, e poi per percepirne i punti vulnerabili».

E’ l’anno d’inizio di questa storia – dice sempre Irwin – per tre ragioni. La prima è che fu in quell’anno che gli scienziati svelarono il delicato meccanismo per mezzo del quale l’ozono viene naturalmente prodotto e distrutto nella stratosfera. La seconda è l’annuncio, dato nello stesso anno dal famoso ingegnere chimico americano Thomas Midgley, della sua invenzione delle utili sostanze chimiche note come Cfc. La terza è l’osservazione, fatta dal fisico premio Nobel Robert Millikan (lo scopritore dei raggi cosmici), che c’erano ben poche possibilità che l’uomo potesse arrecare danni significativi a un corpo così colossale come la Terra. Sarebbero occorsi altri quarant’anni prima che gli scienziati combinassero le prime due ragioni per rilevare l’errore della terza». Ma questo, va detto, è un esempio virtuoso di come la scienza pur avendo preso un abbaglio alla fine sia arrivata a capo di un problema globale come il buco dell’ozono, tanto che Irwin ha intitolato questo suo articolo Una favola ambientale.

Ovviamente per ogni nuova scoperta della scienza è necessario del tempo, qualche intuizione geniale e moltissima sperimentazione. Il confronto con chi la pensa in maniera diversa fa parte ed è fondamentale per arrivare ad esempio a decifrare l’origine di un fenomeno sia esso naturale sia esso determinato dall’uomo. Il punto però è che anche quando la scienza ha posto dei paletti, vedi l’Ipcc, i governi che contano – Usa in testa – giocano la carta del negazionismo e proseguono sulla loro strada pensando che comunque se ci fosse da fare qualcosa la possono fare tranquillamente per conto loro. Non è così. La soluzione per combattere i cambiamenti climatici e in generale per governare in modo sostenibile i flussi di energia e quelli di materia non c’è. C’è, invece, una serie di azioni da fare globalmente che dovrebbe essere portata avanti da una governace mondiale di cui tuttavia non vi è traccia. Ed è questa la cosa che ci pare più grave.

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