[25/08/2008] Recensioni

La Recensione. Equilibrio perfetto di Graham Farmelo

«Come la poesia è la forma di linguaggio più concisa e pregnante, così le grandi equazioni sono la forma più essenziale di comprensione della realtà fisica che descrivono». E’ l’Equilibrio perfetto di Graham Farmelo che racconta «Le grandi equazioni della scienza moderna» descrivendone 12 e "aprendole" alla comprensione di tutti, spiegando in che modo siano nate e siano state accolte dalla comunità scientifica, illustrandone significato e funzioni pratiche.

Il viaggio che si intraprende leggendo la fatica del professore associato di Fisica della Northeastern university di Boston è affascinante e mai noioso, grazie al fatto che gli scienziati e i matematici, i cui articoli sono stati raccolti da Farmelo, riescono a spiegare con chiarezza concetti piuttosto difficili pur senza semplificarli. Il rapporto tra la scienza e la vita di tutti giorni, questione centrale dell’ecologia moderna non più mera protezione dell’ambiente, viene affrontato fin dalla prefazione.

«Per il matematico puro - spiega Farmelo – un’equazione è una formulazione matematica che non ha nulla a che vedere con gli aspetti concreti del mondo reale». «E’ perfettamente immaginabile - prosegue - un universo in cui le equazioni matematiche non abbiano nessuna attinenza con il funzionamento della natura. La cosa meravigliosa è però che ce l’hanno». La prima equazione che viene raccontata e analizzata è la più nota, l’E=mc² di Einstein (teoria della relatività ristretta). Se tutti la conoscono, almeno per sentito dire, non tutti invece magari sanno che «cominciò ad esistere come una congettura di Einstein ed entrò far parte del corpus del sapere scientifico solo a distanza di qualche decennio, dopo che gli sperimentatori ebbero dimostrato che è in effetti in accordo con la natura».

La scienza è complessità anche quando riduce una legge naturale a una equazione apparentemente semplice. E’ il caso di uno dei capitoli più interessanti, quello relativo alla «mappa logistica». Quest’ultima - spiega Robert May - è affascinante per i matematici a causa della sua sorprendente complessità. Quando ci si imbatte in essa per la prima volta, ci sembra invece l’essenza stessa della semplicità: introducendo un numero iniziale, si genera un altro numero; cambiando di poco il numero iniziale, ci si attende che il numero che sarà generato sia sempre leggermente e prevedibilmente diverso. Ma non è così: pensando un numero compreso tra 0 e 1, moltiplicandolo il risultato per una costante fissa (che chiamiamo A) il nuovo risultato sarà un altro numero sembra un’equazione elementare che in realtà descrive niente meno che il caos. E il caos, o meglio la mappa logistica, affascina gli scienziati proprio perché in grado di essere applicata all’ecologia, in quanto fornisce notevoli informazioni sui mutamenti che si verificano nel corso del tempo nelle popolazioni umane.

Esemplare - per chi si interessa di ecologia - la risposta fornita dalla mappa logistica sull’ipotesi di voler calcolare come cambierà il numero di pesci in uno stagno da una generazione all’altra: l’assunto che sta alla base di molte descrizioni matematiche semplici come questa è che la popolazione x iniziale per una generazione determini in modo univoco la popolazione x successiva per la generazione seguente. Ma in che modo, matematicamente parlando, la x successiva dipende dalla x iniziale? Se accettiamo la rappresentazione più semplice di Malthus potremmo supporre che la popolazione aumenti ogni anno di una piccola frazione, a condizione che i pesci rossi abbiano risorse di cibo illimitate e che si riproducono liberamente, senza condizioni restrittive.

Ma la vita non è così - dice sempre Robert May - se la popolazione di pesci fosse molto grande, essi esaurirebbero rapidamente la disponibilità di cibo e lotterebbero per esso, le malattie si diffonderebbero più facilmente e la comunità sarebbe una preda più ricca per i predatori, che avrebbero modo di riprodursi maggiormente e quindi di incidere di più sulla popolazione delle loro prede. Se invece nello stagno ci fossero solo pochi pesci rossi, con abbondanza di spazio in cui muoversi, la loro popolazione aumenterebbe rapidamente.

La mappa logistica dunque è ingannevole se si cercano situazioni in cui le popolazioni si attestano in corrispondenza di un valore costante, in equilibrio. Ma lì aspetto rivoluzionario della «mappa logistica» sta nel fatto che introduce l’imprevedibilità, il caos appunto. Per arrivare a questa conclusione, però, sono serviti secoli ed è questa una delle lezioni da imparare: la ricerca avanza spesso anche per pura casualità e scopre cose che vengono capite anche decenni dopo.

Altrettanto interessante è il capitolo «Una favola ambientale» di Aisling Irwin che racconta la storia della scoperta del buco dell’ozono e di come la scienza stessa sia stata causa e medicina del fenomeno. Una storia che lo stesso Irwin dimostra essere difficilmente ripetibile nel bene (perché nel male gli esempi possono ancora essere molti), nel senso che nel caso specifico il rapporto tra buco dell’ozono e Cfc fu scoperto in tempi relativamente brevi con prove piuttosto concrete e con politica e opinione pubblica schierate e pronte nel combattere il fenomeno dopo aver individuato appunto il «nemico». Certo non mancarono anche allora gli scettici ed è significativo pure che uno dei questi fu addirittura un’ecologista poi diventato tra i più importanti: Lovelock, in quegli anni assoldato dalla DuPont (colosso chimico che produceva Cfc).

Una soluzione, quella appunto di togliere dal mercato tutti quei prodotti che contenevano o liberavano Cfc, fin troppo semplice visto anche l’impatto relativo sulle abitudini delle persone era poca cosa. Tant’è che come sappiamo bene le emissioni di C02 riconosciute come causa principale dei cambiamenti climatici da anni si cercano di abbassare a livello mondiale ma con scarsi risultati, dato che è molto più difficile togliere dal mercato le fonti fossili di produzione di energia.

Ma la lezione da imparare non ci pare solo questa - tra l’altro il buco dell’ozono ancora non è stato completamente “ricucito” - bensì anche il fatto che i Cfc furono scoperti da un ingegnere chimico americano di chiara fama, quale fu Thomas Midgley, che suo malgrado è stato anche l’inventore dell’aggiunta del piombo nella benzina perché aveva scoperto riducesse i battimenti del motore. Come dire: le sue intenzioni non erano certo quelle di peggiorare la qualità della vita dell’uomo, ma lo fece tanto da essere riconosciuto come l’uomo che ha avuto un effetto più distruttivo sull’atmosfera terreste di qualsiasi altro organismo singolo sul pianeta. La ricerca non orientata - questo è un punto fondamentale - verso la sostenibilità ambientale e sociale, può portare come si è visto a risultati che possono essere deleteri anche quando partono con le migliori intenzioni.

Anche nei successivi capitoli dove si analizzano per esempio «L’equazione di Yang-Milss» il focus resta quello della straordinaria capacità della scienza (e anche le fatiche ovviamente) di trovare le leggi che governano la natura. Queste sono e saranno sempre più fondamentali per la sfida più importante alla quale è chiamato l’uomo: la sostenibilità, orizzonte irraggiungibile senza la scienza, quindi senza la ricerca e l’investimento di conseguenza in essa. I governi per primi dovrebbero avere chiaro quanto sia indispensabile riorientare la ricerca verso la sostenibilità nell’ottica più generale di una riconversione del sistema economico. Ma sappiamo invece che la ricerca in paesi come l’Italia praticamente è al livello di mera sopravvivenza. E questo è male perché l’economia ecologica impone conoscenza, ricerca, contabilizzazione ambientale e divulgazione dei risultati scientifici raggiunti strada che senza finanziamenti e investimenti diventa salita tortuosa e assai ripida.

L’equilibrio perfetto di Farmelo ci racconta di quello di cui l’uomo è stato capace di scoprire dal punto di vista delle leggi fisiche, chimiche e matematiche che regolano la natura, ma quell’equilibrio perfetto nella natura appunto è assai compromesso e in larga parte a causa dell’uomo proprio perché scombinando i fattori di quelle leggi, i risultati cambiano e di molto. Non esiste tuttavia un’equazione risolta la quale l’uomo riduce drasticamente la sua impronta sull’ambiente e pone le basi per un impatto zero perché questo proprio la scienza ci insegna non essere possibile. Ma le grandi equazioni della scienza moderna aiutano il genere umano a conoscere i propri limiti e potenzialmente gli aprono la strada per imboccare una direzione diversa, che il pianeta e le sue risorse sempre più scarse pretendono.

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