[13/08/2008] Energia

Il nucleare e i costi (che continuiamo a pagare oggi) per le scorie di 30 anni fa

FIRENZE. L’energia nucleare non è un fenomeno maligno in sé, essa ha dei vantaggi e degli svantaggi. Il fascino, la consapevolezza dell’enorme potere che è contenuto nell’energia delle stelle è patrimonio di tutti, così come la consapevolezza dell’oggettiva assenza di emissioni carboniche (dirette) che caratterizza il suo utilizzo, una volta che gli impianti siano a regime. Ciò che appare inaccettabile è che si continui a parlare dei costi di un sistema produttivo senza evidenziare quelli non evidenti, come ad esempio quelli che l’Italia pagherà alla società francese Areva per il processo di decommissioning delle scorie derivanti da decenni di energia nucleare sul territorio italiano, cifre che di sicuro non vennero quantificate quando, nel 1981, la centrale di Caorso iniziava la sua attività di produzione di elettricità tramite l’energia dell’uranio.

Ed è notizia di oggi, riportata dal quotidiano on-line Agenfax, la missiva con cui il ministro dello Sviluppo economico Scajola ha «garantito un miglioramento dei criteri di ripartizione delle compensazioni attualmente in vigore, e assicurato un equo trattamento dei territori sui quali sono presenti depositi temporanei» di scorie radioattive: il nocciolo della questione sta nel D.M. DL n. 314/203 “Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi”, convertito in legge dall’art. 1 della Legge n. 368/2003: in esso avvenne l’individuazione della centrale di Caorso come deposito temporaneo di scorie radioattive, con la conseguente promessa di contributi economici statali per indennizzare le popolazioni residenti nei comuni contigui degli oggettivi danni derivanti dalla vicinanza di un deposito di scorie radioattive fuori-terra.

E il paradosso stava nel fatto che, mentre i comuni della provincia di Piacenza avevano ricevuto più garanzie sull’effettiva erogazione dei fondi, quelli della provincia di Lodi avevano ricevuto garanzie minori, pur subendo gli stessi danni dalla prossimità del deposito, poichè certo i confini amministrativi e burocratici che l’uomo ha deciso non sono capaci di attenuare la percezione di un rischio e di un potenziale danno economico da parte della popolazione. Il Presidente della provincia di Lodi, Lino Osvaldo Fellissari, aveva ufficialmente chiesto garanzie al ministero dello Sviluppo economico, focalizzando appunto la questione sulla redistribuzione degli indennizzi: « L’obiettivo dell’amministrazione provinciale è proprio quello di scongiurare il rischio che il Lodigiano venga estromesso dalla ripartizione di circa 20 milioni di euro destinati non solo ai comuni ospitanti gli impianti e i depositi di materiale radioattivo ma anche ai comuni, tutti piacentini, che a questi impianti e depositi sono confinanti. Si è giustamente deciso di dare a Cesare quel che è di Cesare», si legge in conclusione dell’articolo.

E allora attenzione: questi sono fondi dei contribuenti, fondi “nostri”. Il paese ha abbandonato il nucleare ormai 22 anni fa? E noi continuiamo a pagare, pagare per indennizzi che derivano da costi che non erano stati calcolati. Pagare per portare uranio e plutonio (ancora parzialmente utilizzabili in vari modi) ad una società francese, che si terrà il buono e ci rispedirà le scorie, scorie ancora radioattive e che ancora – lo ripetiamo – non hanno un deposito sotterraneo che sia stato individuato in via definitiva, sul territorio italiano.

E il problema non è morale: è economico. Costi non evidenti che vanno calcolati, rischi che sono prima di tutto sanitari (per l’uomo), ambientali (per la tutela della biodiversità e della ricchezza degli habitat fluviali), ma che assumono anche aspetti economici se qualcuno si prende la briga di calcolarli. Calcoliamoli prima, e poi dati alla mano potremo anche decidere di discutere – senza tabù, senza ideologie – dell’apertura di un nuovo ciclo energetico nucleare, forse per dichiararci d’accordo, forse per proseguire nella nostra contrarietà perché la convenienza non c´è ancora.

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