[12/08/2008] Energia

Da Caorso una lezione sul nucleare e sul ´problemino´ delle scorie...

FIRENZE. «Da qualche tempo ho notato un nuovo atteggiamento nei miei concittadini. Per molti anni la centrale è stata percepita come elemento ostile. Con l’inizio del processo di allontanamento del combustibile il paese ha avuto una scossa. Ora lo smantellamento sembra davvero più vicino. La popolazione di Caorso ha già dato abbastanza per il nucleare. Se il governo vuole rientrarvi sappia che noi non siamo disponibili».

Queste dichiarazioni di Fabio Callori, sindaco di Caorso, località dove secondo “La Nazione” di sabato 9 agosto sono ancora presenti 706 delle 1032 barre di uranio (190 tonnellate) che alimentavano l’impianto nucleare, costituiscono uno degli spunti di riflessione più importanti dell’articolo scritto da Davide Costa. La centrale, si legge, ha iniziato il suo esercizio commerciale nel 1981, poi interrotto nel 1986 in seguito ai referendum, ed è stata definitivamente chiusa nel 1990. Successivamente è iniziato un processo di Decommissioning (smantellamento impianti e trattamento rifiuti) che nelle intenzioni durerà fino al 2019, al costo stimato di 560 milioni di euro che saranno incamerati dalla società Sogin, che opera secondo gli indirizzi strategici del ministero dello Sviluppo economico: «oltralpe il materiale verrà separato: da una parte le materie riutilizzabili, dall’altra le scorie, che saranno restituite in una forma che ne riduce il volume e garantisce la sicurezza».

... Quale sicurezza? La sicurezza la si potrà avere, e soprattutto la si potrà percepire solo al momento in cui il processo di Decommissioning sarà terminato, quando cioè tutte le scorie saranno sottoterra, al sicuro per sempre in un deposito di salgemma o in altri formazioni geologicamente stabili, che sono ancora da individuare: e intanto avverrà un processo perverso che vedrà lo Stato italiano pagare una ditta francese (la Areva di le Havre - Normandia) per attivare un flusso di materia la cui entropia finale sarà... praticamente zero: pagare per ricevere un servizio, che consisterà nell’impacchettare dei rifiuti, ridurne il volume, e rispedirceli, praticamente tal quali: pagare 560 milioni di euro (e vedremo se la cifra resterà quella preventivata, e gli esempi della Finlandia e della stessa Francia sembrano insegnarci il contrario) per ricevere un servizio praticamente inesistente. E intanto, quanti treni carichi di barre di uranio esaurite attraverseranno l’Europa?

Quindi ancora una volta, sia pure in un articolo che va segnalato per pragmatismo e assenza di volontà di contrapposizione ideologica, si parla del nucleare senza attribuire valore al problema dei rifiuti inerenti al relativo processo produttivo, e cioè di quelle scorie la cui presenza continua a costituire fattore discriminante tra la cosiddetta terza generazione e la cosiddetta, futura e attesa quarta generazione: ma le scorie restano in superficie, e quelle che saranno inviate all’impianto di Le Havre ritorneranno presto in Italia, dopo un processo di «messa in sicurezza» che messa in sicurezza non è: appena un kg, un solo kg di quelle scorie che derivano da decenni di nucleare italiano, verrà sepolto sottoterra, ecco che si potrà parlare di nucleare, e di energia elettrica prodotta da esso sul territorio italiano.

Fino a quel momento sarà solo ideologia, sarà solo confronto basato sulla percezione del problema dei rifiuti come secondario, mentre la storia antica e recente del nostro paese ci insegna che se non affrontiamo il problema della chiusura di un ciclo produttivo, è puramente ideologico parlare della riapertura di un altro ciclo.

Torna all'archivio