[12/08/2008] Rifiuti

Chi vuole il telefonino usa e getta della Bic? Forse gli abitanti di Leonia...

LIVORNO. Gli abitanti di Leonia, una delle Città invisibili di Italo Calvino, avevano come passione «il godere delle cose nuove e diverse». In effetti «la città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio».
Ogni mattina, però, «i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio», perché «rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri» e «una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare».

Leonia , inventata da Italo Calvino nel 1972, era la città dell’usa e getta, ma anche nel non-uso o dell’uso sempre più breve, che nel mondo reale ha conosciuto un vero e proprio boom negli ultimi decenni del secolo scorso. I terribili sacchetti di plastica che resistono per secoli nei nostri boschi e nei nostri mari hanno sostituito le quasi eterne sportine di tela, i piatti di plastica alimentano le nostre discariche o i nostri inceneritori perché nelle case sempre più piccole non c’è spazio per la lavastoviglie e non c’è tempo per stare all’acquaio, le scarpe cinesi durano solo un anno ma costano solo 10 euro, i fazzoletti di carta sono più igienici di quelli di stoffa, la bottiglia di acqua in Pet è più comoda del vuoto a rendere in vetro….

I rifiuti del resto sono l´altra faccia della civiltà industrializzata, che tendenzialmente cerchiamo di trascurare o rimuovere: quando va bene possiamo pensare che basterebbe raccogliergli separatamente per risolvere il problema ignorando completamente la fase successiva, ovvero che poi per riciclare servono impianti, energia, acqua e soprattutto un mercato di sbocco per questi beni di seconda vita. E senza contare che da qualsiasi processo di riciclo (come in quelli di produzione da materie prime) si generano, ancora, rifiuti.

Quando va male, semplicemente ignoriamo il problema, lo allontaniamo al di là delle mura della città, un po’ come i Leonesi. Gli esempi di cattive pratiche purtroppo non mancano. L’ultima, in ordine di tempo, ce la propone il Corriere della Sera di oggi, che rilancia l’annuncio della Bic (sì, quella delle penne e delle lamette, marchio-icona dell’usa & getta) che dal prossimo anno sbarcherà sul mercato francese con un simil-telefonino da 49 euro pronto all’uso e usa & getta, già carico e già dotato di 60 minuti di traffico prepagato, che dopo un anno si disattiva automaticamente e si butta via.

Ora è vero che per la legge della domanda e dell’offerta, se un’azienda investe per offrire un prodotto, dall’altra parte probabilmente c’è una domanda (vera o indotta) che quel bene richiede. Ma è pur vero che la storia è piena di prodotti falliti che sono stati presto ritirati dal mercato e ai quali ci auguriamo si aggiungerà anche il telefono della Bic. Ma il punto è un altro: non solo si ignora e si calpesta completamente quel pur minimo razionalismo ecologico che l’ambientalismo fatica a far affacciare nelle coscienze di consumatori e produttori, ma si deifica quel concetto di usa & getta che già fa parte a tutti gli effetti del mondo della tecnologia, mutato nel più misterioso concetto di obsolescenza programmata o di obsolescenza percepita.

Che bisogno c’è di un telefonino a scadenza se proprio per i telefonini la vita media si accorcia sempre di più? Che bisogno c’è di questa idea se i dati degli analisti americani Abi Research dicono che i giapponesi sono i più ansiosi di sostituire il proprio cellulare, in media dopo nove mesi di utilizzo, mentre gli europei ne aspettano 15 di mesi e gli americani 18? Se il bisogno sta solo nella necessità di far apparire nuovo una cosa che già c’è poco male, fa parte delle strategie di marketing, ma quello che per farlo si magnifica un contetto diseducativo e ambientalmente insostenibile è una pratica negativa e da stigmatizzare.

Smaltire telefonini, usa & getta di nome o di fatto, costa molto di più che produrli, anche se il prezzo di produzione non è certo quello che si trova sugli scaffali dei negozi, visto che noi ormai compriamo quasi tutto sottocosto perché il resto lo paghiamo in servizi. Il recupero e lo smaltimento in ogni caso costano economicamente tantissimo se avvengono in modo corretto (selezionando gli elementi nocivi e recuperando quelli recuperabili) e costa ambientalmente tantissimo se invece avviene in modo non corretto (cioè se viene sversato e abbandonato in modo abusivo o se viene caricato sulle carrette del mare che lo riverseranno sulle coste di qualche Paese africano, un po’ come avrebbero fatto a Leonia).

Ma anche se ai tempi di Leonia i telefoni cellulari non esistevano il pattume c’era lo stesso e così come avviene oggi in un pianeta fisicamente finito che non riesce a riassorbire gli scarti che esso stesso produce, lo scenario sarebbe identico: «Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell’estremo crinale, immondezzai d’altre città, che anch’esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano».

Calvino non diceva nulla della forma di governo della città di Leonia. Forse Leonia non aveva governo, e tutto era demandato solo ed esclusivamente al mercato…

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