[06/08/2008] Comunicati
LIVORNO. L’occupazione, l’istruzione e la formazione professionale strizzano l’occhio all’ambiente. I dati disponibili, ripresi oggi anche da Il sole 24 ore (dal 1993 al 2006 si è registrato un incremento occupazionale pari al 41%) confermano anche per il nostro Paese un trend in continua crescita di nuova occupazione nel settore ambientale (pubblico e privato), ma anche (e soprattutto) di nuovi insegnamenti universitari e di alta specializzazione, di nuovi corsi di formazione professionale. Tutte le professioni e tutte le lauree tradizionali si stanno riconvertendo all’ecologia e ce ne è per tutti i gusti: educatori ambientali, mobility manager, energy manager, installatori di pannelli fotovoltaici e solari, certificatori dei sistemi di gestione, addetti alla manutenzione del verde ed alla raccolta dei rifiuti urbani, urbanisti e paesaggisti, comunicatori e avvocati ambientali, medici e veterinari per la profilassi del territorio, ingegneri dell’impatto acustico e tecnici per l’inquinamento atmosferico, geologi per le discariche, manager per l’ecoturismo, artigiani della bioedilizia...
La richiesta di nuove figure professionali, in linea con le necessità del mercato, ha ovviamente scatenato la corsa delle università e delle agenzie formative alla ricerca dello studente e/o del corsista al fine di garantire il numero minimo di iscritti necessario per attivare i corsi. L’agguerrita concorrenza, come abbiamo visto, non ha scoraggiato né l’offerta didattica né l’interesse di partecipazione. Secondo una ricerca dell’ ISFOL pubblicata nello scorso dicembre, si è registrato un aumento esponenziale dell’offerta di master ambientali che passano dai 34 dell’anno accademico 2000-2001 ai 236 del 2004-2005. Partendo da queste evidenze si sono realizzate 407 interviste ad un campione, rappresentativo a livello nazionale, di partecipanti che ha concluso l’esperienza formativa nel 2004-2005. Ad un anno dal termine del master, l’80,6% degli intervistati risulta essere occupato. L’occupabilità, oltre ad essere decisamente alta, è in buona misura coerente con le scelte formative compiute: il 58% circa degli occupati al momento dell’intervista ha raggiunto l’obiettivo di trovare un lavoro nel settore dell’ambiente. Si osserva inoltre che il 68% ha ottenuto una collocazione corrispondente al livello formativo acquisito.
Ma le buone notizie non finiscono qui, poiché il verde si sposa con il rosa. Infatti le donne brillano. Lo provano i dati. Si trovano a svolgere lavori più qualificati rispetto ai colleghi maschi. Più dell´80% delle donne impegnate in attività ambientali ha livelli di scolarità medio alti, contro appena la metà degli uomini. Soprattutto lavoro buono perché contiene un alto indice di conoscenza e quindi meno esposto alla precarietà. Non solo. Rappresenta un tipo di lavoro che cambia la specializzazione produttiva del nostro Paese, lo rende più competitivo e che combatte fattivamente un declino economico che, questo sì, provoca nuova disoccupazione. E’ ricco di “ricerca” e la sa usare in modo sostenibile. L’ambiente non crea solo nuovi posti di lavoro, ma può fattivamente inserirsi come momento di sostegno e di stabilizzazione verso il lavoro precario, senza aver paura di confrontarsi con l’economia.