[24/07/2008] Consumo

Il Baby bazar: abiti, giochi, attrezzature usate e…sostenibilità

LIVORNO. E’ operativo da tre anni, si chiama Baby Bazar ed è un network di negozi dell’usato dedicato al mondo dei bambini da 0 a 12 anni. Nato nel 2005 dall’esperienza di Mercatopoli risponde sia all’esigenza di risparmio delle famiglie sia alle esigenze ambientali e ha pure una valenza solidale: fornisce vantaggi nel rapporto qualità-prezzo legati sopratutto alla tipologia di un prodotto indispensabile ma, con un periodo di utilizzo molto breve; sposa la filosofia del riciclaggio e del riuso di un abito odi un gioco non ancora “consumato” e destina parte dei suoi proventi a Intervita (organizzazione no profit che realizza progetti di sviluppo nelle zone più svantaggiate del Mondo).

I negozi Baby Bazar infatti, si rivolgono a mamme, papà e nonne che desiderano vendere abbigliamento, attrezzature e giocattoli che i loro bimbi non utilizzano più. Articoli di seconda mano quindi, ma garantiti: gli abiti non devono avere nemmeno un filo tirato, devono essere lavati e stirati; le attrezzature devono essere pulite, funzionanti, praticamente perfette. Si rivolge anche alle persone che, dovendo acquistare abbigliamento, giochi e altro per bambini scelgono di risparmiare: il risparmio – stando a quanto è scritto sul sito www.babybazar.it - è garantito e si aggira attorno al 50% rispetto al prodotto nuovo.

Ma in generale si indirizza verso tutti coloro che hanno a cuore le questioni ambientali, perché riciclare e riutilizzare un prodotto di qualsiasi natura sia, vuol dire anche risparmiare materia prima, energia e contribuire a ridurre la produzione dei rifiuti (anche degli imballaggi).

I giocattoli dei bambini ad esempio non possono essere riciclati pur avendo molte componenti in plastica e devono essere inseriti nei cassonetti dell’indifferenziato. Ma portandoli al mercato dell’usato se perfetti possono essere di nuovo utili.

Ogni tipo di prodotto poi, ha una sua “storia” sociale e ambientale. La produzione di una T-shirt ad esempio passa da un campo di cotone, a una fabbrica magari molto lontano dal posto di produzione della materia prima (dove la mano d’opera ha un costo molto basso e dove molto spesso gli obblighi ambientali sono minori rispetto all’Europa o all’Usa) che comunque utilizza energia per far funzionare i macchinari e acqua per raffreddare i congegni meccanici e dai negozi commerciali sparsi per il mondo fino ad arrivare magari proprio in un mercatino dell’usato.

Navi, aerei e camion si spostano su mare, aria o lungo assi stradali che si traduce in immissione di C02 in atmosfera. Per non contare poi, nel caso di trasporto su gomma, l’aumento del traffico e degli incidenti. E non è finita qui perché il “viaggio” della maglietta dalla coltivazione della materia prima fino al banco di vendita ci porta anche nel cuore degli scambi internazionali, e ci può fare “scoprire” le persone concrete: come, dove e a che condizioni lavorano.

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