[10/07/2008] Parchi

I meriti della protezione ambientale

PORTOFERRAIO (Livorno). Nonostante lo scetticismo dei soliti interessati, un certo dibattito si è aperto attorno alla conservazione della natura, ai parchi naturali e al turismo nei luoghi da proteggere. E’ un buon segno che ci siano state osservazioni di merito e diversi angoli visuali, oltre al solito chiacchiericcio, ma c’è un punto a mio avviso interessante sui cui aprire ancora un confronto, e ci arrivo subito.

Prima sono obbligato a ribadire che qui non sono in discussione solo i titoli per parlare di ecologia: quelli ci vorrebbero, perché si tratta di materia scientifica, oggetto di corsi universitari e specializzazioni, e non della formazione di Marcello Lippi (per quanto pure su quella è difficile che abbia buone idee chi non ha mai giocato a pallone, per non parlare di chi una partita non l’ha neppure mai vista). Basterebbe avere seguito un corso, aver letto qualche testo, aver magari condotto qualche studio sul campo applicando il metodo scientifico o avere una solida formazione naturalistica di base. Per questi motivi consiglio sempre un buon corso di scienze naturali, geologiche o biologiche, dove questi elementi sono ampiamente sviluppati, se non si vuole subito scegliere i corsi appositi di ecologia e scienze ambientali (i cui elementi principali si ritrovano anche negli altri). Se non si può, si dovrebbe avere l’onestà di riconoscere che la propria resta un’opinione, fatalmente quasi mai fondata, e che, comunque, ha poche probabilità di prevalere nel confronto “oggettivo” con un’analisi scientifica. Quando non si tratta di opinione di partito o segnata dalla polemica, che la rende di fatto inutilizzabile per qualsiasi discussione.

Per questa ragione fanno francamente tenerezza i tentativi autodidatti o le polemiche su chi è geologo e chi non lo è, o, addirittura, la citazione del Club di Roma senza mai averne, evidentemente, letto un resoconto: da quella parte niente di serio e poco di buono. Ma questo è il Paese in cui se non ricordi come cominciano i “Promessi Sposi” fai un brutta figura, ma nulla accade se non sai chi sono Crick e Watson (no, il secondo non è l’aiutante di Sherlock Holmes) o, figurati, Molina e Cruetzen.

Ma veniamo al punto. Spesso si legge e si sente dire che, per esempio nell’arcipelago toscano, “non c’è bisogno di alcuna area protetta, visto che l’ambiente è stato ben difeso da chi oggi vi abita, come dimostra lo stato della natura ancora incontaminata”. E’ un’affermazione falsa sotto diversi profili, primo di tutti quello della natura ancora intatta, cosa che accade solo dove è stata per tempo protetta con regole rigide e con parchi e riserve, quasi sempre grazie a leggi “imposte dall’alto” (decreto Galasso, per dirne una). E, in secondo luogo, per le ragioni che vado a esporre e che posso sintetizzare nel ruolo della distanza, del frazionamento proprietario, delle bandite e riserve di caccia, della presenza di attività agricole latifondiste e delle concessioni minerarie, dell’uso militare e della presenza delle carceri. E che valgono, mi pare, per tutto l’ex-Belpaese, che, non a caso, ha iniziato a diventare ex proprio da quando questi fattori sono stati disattivati.

Non tutti sono fattori positivi, anzi, basti pensare alla caccia: i vastissimi territori delle riserve sono stati mantenuti quasi intatti fino in epoca moderna solo allo scopo di depredarne il contenuto faunistico in deroga alla carta costituzionale. Sono così sfuggiti all’aggressione della speculazione edilizia, così come è accaduto, a maggior ragione, nelle aree militari: basti pensare per tutti al poligono militare di Torre Astura (Latina), circondato dallo scempio, ma miracolosamente intatto. Anche il latifondo non può essere considerato un fattore di modernità, ma ha impedito di svendere al dettaglio intere fette di territorio pregiato. Come, al contrario, un certo frazionamento delle proprietà ha impedito che si creassero in Italia (e in Toscana) le condizioni per installare mega villaggi turistici come in Croazia o altrove: è più difficile mettersi d’accordo con dieci proprietari che con uno. Anche se non ha certo impedito il proliferare di lottizzazioni e seconde case.

I territori delle concessioni minerarie hanno preservato la natura soprattutto in Sardegna e in Toscana: il parco geominerario di Guspini (nel Sulcis) è un ottimo esempio, con i suoi ettari di verde sul mare e il solo patrimonio abitativo già presente (quello minerario) a essere recuperato. Nel caso specifico aiuta poi anche la legge regionale: oggi in Sardegna non solo non si può più costruire in riva al mare, ma neanche in proprietà di campagna al di sotto dei cinque ettari, una conquista dell’ambiente e del paesaggio tradizionale che andrebbe imitata. Infine, a vedere oggi Capraia, Gorgona e Pianosa pare che il ruolo delle case penitenziali (ancora attivo nelle seconda e nella terza) sia stato un deterrente forte contro eventuali tentativi speculativi, come peraltro accaduto a Ventotene o altrove nel mondo. Da un certo punto in poi queste funzioni di protezione sono state assolte dai parchi naturali, dalle aree protette e dalle riserve, ultimi baluardi contro la mercificazione del territorio.

E’ in questo contesto che, eventualmente, possono trovare posto i residui meriti, assieme al caso o alla distanza, nel merito delle isole, dai continenti (ulteriore elemento logistico deterrente). Riflettevo su tutto questo quando mi capitano sotto mano gli scritti di Ivo Faenzi in cui ritrovo, largamente (con qualche doveroso distinguo), quei concetti e quelle opinioni da parte di un protagonista maremmano di dure battaglie ambientaliste ante litteram. Insomma uno di quelli che, da autoctono, le battaglie ambientali per la salvaguardia le ha davvero combattute e di tentativi ne ha visti talmente tanti da mettere paura. Per esempio, in Toscana, la famigerata “Venezia turistica” e la tentata distruzione delle aree umide di Castiglione e Orbetello, il porto nel lago di Burano (!), il raddoppio delle cubature ad Ansedonia, gli abusivismi all’Argentario o i palazzoni di Follonica (questi ultimi tre tutti riusciti). Per non parlare dei villaggi turistici falliti per un pelo (Società Giglio), nelle isole dell’arcipelago (che poi in qualche modo si sono rifatte …), proprio grazie alle lotte di quegli oppositori. Il dubbio è che, invece, i “nostri” quelle battaglie le abbiano, nel migliore dei casi, vissute da fuori. E, nel peggiore, che siano stati dall’altra parte.

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