[07/07/2008] Monitor di Enrico Falqui

Architetti di tutto il mondo... unitevi!

FIRENZE. «E’ tempo di ritrovare la necessaria solidarietà tra noi architetti per trasmettere il potere dell’architettura come vettore di soluzioni, di valori e significati ai nostri partners e ai cittadini». Con queste parole è stato inaugurato da Gaetan Siew (presidente dell’Uia) il XXIII congresso mondiale degli architetti nella prestigiosa sede del Lingotto a Torino. Oltre 10.000 persone, provenienti da 130 paesi, (moltissimi gli studenti e i giovani architetti) hanno affollato per tre giorni (30 giugno-2luglio) le numerose sessioni tematiche attraverso le quali si è snodato un dibattito sulle sfide dell’Architettura del terzo Millennio.

Il Congresso aveva significativamente suddiviso le varie sessioni all’interno di tre paradigmi etico-culturali : cultura, democrazia, speranza; tre sostantivi che declinano le sostenibilità necessarie per un’architettura responsabile.
«Architetti e architettura si assumano le loro responsabilità» ha esclamato Leopoldo Freyrie, relatore generale al XXIII congresso mondiale, riconoscendo di essere arrivati in ritardo a comprendere che la principale causa dei mutamenti climatici aveva origine nella crescita incontrollata del suolo urbanizzato. In Europa, nonostante la stabilizzazione demografica della propria popolazione, le città hanno continuato ad espandersi nell’ambiente naturale e rurale, aumentando la domanda di mobilità e di infrastrutture.

Nonostante ciò, negli ultimi anni l’architettura è divenuta protagonista della comunicazione con grandi architetti che diventano, con i loro progetti, “testimonial” di campagne di marketing urbano di cui si cibano con golosità tutti i mezzi di comunicazione di massa.

Non sarà un caso che Fuksas abbia concluso il proprio provocatorio intervento al Congresso, rilasciando autografi ad una folla di fans e architetti che lo acclamavano come una Star del cinema a passeggio sulla “Croisette” di Cannes.

Questo fenomeno di celebrazione del “Mito”, attraverso l’identificazione del progetto col suo autore, è apparso a moltissimi partecipanti al Congresso come il vero “virus” da estirpare, affinché si possa realizzare il messaggio moderno ed innovativo contenuto nell’aforisma che ha dato il titolo al Congresso: “Transmitting Architecture”.

In altre parole, la sfida di lanciare una nuova stagione di democrazia e trasparenza, mettendo in relazione chi progetta e costruisce con chi commissiona e paga e con chi vive nelle città e negli edifici, è apparsa alla grande maggioranza dei partecipanti al Congresso come un’impresa non facile a realizzarsi, poiché sono ancora poco approfondite le cause che hanno generato una “separazione” profonda tra Architettura e cittadini.

Una di queste cause, si è detto durante il Congresso, è rappresentato dall’intreccio che si è venuto a formare all’interno delle nostre città contemporanee, tra Etica e Estetica. Uno dei più innovativi personaggi del coordinamento dei giovani architetti italiani, Luca Paschini, ha affermato che : «...oggi bello non è più un concetto estetico; è bello un edificio o un quartiere se per le persone che lo utilizzano la qualità ambientale è positiva». D’altra parte, ha detto Aaron Bersky, direttore della Biennale di Venezia, che aprirà i battenti nel prossimo settembre, “..non puoi avere qualcosa di bello senza pagarlo…ed è sbagliato soffermarsi a valutare se un edificio è bello o brutto….perché quello che conta sono i rapporti che le persone hanno con i luoghi in cui vivono”.
Vi è in queste affermazioni una ragione di verità che ha spinto Stefano Boeri ad affermare che : «l’opportunità di un consenso per le nuove architetture italiane è sicuramente una questione tutta politica e per questi motivi è necessaria una legge sulla trasparenza dei grandi progetti promossi dagli operatori privati che induca gli architetti progettisti a confrontarsi con l’opinione pubblica».

E’ innegabile che, in Italia non funziona ormai più il meccanismo delle “gare” tra progetti per realizzare un’opera, poiché, diversamente da quello che accade in Germania o in Francia dove si fanno “concorsi” tra progetti diversi, chi promette di spendere di meno e di fare più in fretta vince sugli altri.
Il progetto Corviale, di Mario Fiorentino, un edificio di 1200 appartamenti alla periferia di Roma lungo 960 metri, dimostra come l’utopia urbanistica di Le Corbusier sia finita nel degrado a causa di procedure obsolete quali sono “le gare” prima richiamate, e per la mancanza di dialogo tra architettura e contesto ambientale e sociale.
Tuttavia, questo progetto non è frutto soltanto di un errore di percorso e di procedure d’appalto poco trasparenti, bensì di una concezione di “potenza e di dominio” dell’architettura sull’ambiente e sulla natura.

Chi si è soffermato ad osservare il grande plastico del progetto del waterfront di Rimini, ideato da Jean Nouvel, sirende facilmente conto che l’attenzione dell’architetto francese rivolta alla “sinuosità delle dune costiere e delle onde marine” come tema ispiratore del complesso edificato sull’arenile riminese, copre un devastante impatto ecologico sull’ambiente e sul paesaggio costiero.
Nouvel conferma, con questo progetto, l’insostenibilità ecologica dell’architettura quando si pone l’obiettivo di “addomesticare” la natura al genio del “beau geste” di architettura, a prescindere dalle caratteristiche ecologiche e paesaggistiche del luogo prescelto dal committente per l’intervento di trasformazione.

Paolo Soleri, il grande architetto fondatore di Nuova Cosanti,una città per 5000 abitanti costruita su un terreno di circa 900 acri a 60 miglia da Phoenix (Arizona, USA) nella parte terminale di una gola sulla valle del fiume Agua Fria, ha accentuato la sua critica radicale al paradigma della “potenza e del dominio” sulla natura che sta alla base di gran parte dell’architettura contemporanea rivolta a soddisfare la domanda di “marketing urbano”.
Nella sua ascoltatissima “lecture” davanti a una folla straripante di giovani (il cui accesso nella sala ha costretto all’intervento dei vigili del fuoco di Torino per garantirne la sicurezza), Soleri ha affermato che i grattacieli rappresentano il simbolo mitologico di questa volontà di dominio e potenza nei confronti della natura. Questi progetti (tra cui il citatissimo Dubai Tower) sono una disastro termodinamico poiché il bilancio di energia dell’edificio e le difficoltà logistiche cui vanno incontro, ne rendono insostenibile la struttura in un futuro caratterizzato dagli alti costi dell’energia e del trasferimento delle merci.
«Riconoscere l’importanza delle implicazioni e delle relazioni ambientali è stato per me un notevole primo passo nella progettazione di una comunità abitata dove vita, lavoro e gioco sono tutti sotto lo stesso tetto: quello di un grattacielo rovesciato sulla terra, in modo da esprimere anche simbolicamente il cambiamento di paradigma che dobbiamo scegliere per lo sviluppo delle città del futuro».

Il messaggio di Soleri si è incontrato col sorriso accattivante dell’architetto cinese di Hong Kong, Gary Chang, che non sopporta le “star” dell’architettura e invita gli architetti presenti al congresso «..a non stare chiusi nei propri studi per progettare, ma ad uscire, vedere, capire cosa serve alle persone» in modo da sviluppare nuovi modelli di architettura fondati sul risparmio spaziale. Anche lo spazio è divenuto una risorsa scarsa, soprattutto nei Paesi a più alta urbanizzazione ed industrializzazione, e in Cina, dove la crescita della popolazione urbana ha raggiunto dimensioni preoccupanti.
L’idea di “ risparmio spaziale” nei modelli di architettura per gli edifici si coniuga facilmente con altre idee di riutilizzazione dei materiali (ampiamente discussi nelle tavole tematiche del Congresso) e, soprattutto, con il nuovo paradigma del “risparmio di suolo” nei piani e nei processi di trasformazione delle città contemporanee.

Insomma, è stato un congresso mondiale “ di transizione” dove si sono confrontate e scontrate idee contrapposte sul futuro delle città, sul ruolo dell’Architettura nel dialogo con i cittadini, sull’uso dell’ambiente e sulla riqualificazione del paesaggio (ancora concepito come “elemento di arredo urbano” anziché come “risorsa di biodiversità” necessario alla sostenibilità dello sviluppo.)

E’ la prima volta, negli ultimi 40 anni, che un Congresso di architetti venuti da ogni parte del mondo, non si conclude con granitiche certezze ma con dubbi e lacune che segnalano l’esigenza di mutamenti profondi nel rapporto tra Architettura e cittadini, tra Architettura e paesaggio, tra Architettura e Urbanistica. Questo congresso assomiglia molto, dal punto di vista storico-antropologico, a quello che nel 1956 si tenne presso l’università di Princeton (USA) al quale, insieme a molti accademici e scienziati, partecipò anche Lewis Mumford con una lezione magistrale sui pericoli derivanti da un’urbanizzazione troppo veloce e caotica dell’ambiente naturale.

Oggi, quelle previsioni si sono rivelate drammaticamente vere e, sia pure in ritardo, spero che i nuovi architetti presenti a questo meeting mondiale si uniscano nella ricerca di modelli di architettura e di città sostenibili sul piano culturale, sociale ed ambientale.

La rubrica Monitor di Enrico Falqui tornerà ad essere aggiornata dal 15 settembre

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