[23/06/2008] Energia

Petrolio, il barile è mezzo pieno o mezzo vuoto?

LIVORNO. Il prezzo del petrolio è raddoppiato in soli dodici mesi e stime verosimili indicano che arriverà alla soglia dei duecento dollari al barile in tempi brevissimi. Tutta colpa della speculazione secondo alcuni, tra cui il ministro per l’Economia Tremonti che l’ha definita «la peste del XXI secolo»e l’ unica causa del «mostruoso» aumento del prezzo del petrolio. Tutta colpa della scarsa disponibilità della materia prima a fronte della domanda, secondo altri, tra cui l’amministrazione Bush che per bocca del segretario americano all’energia, Sam Bondan, ha dichiarato che «la causa del rincaro è reale, è la produzione del greggio che non regge il passo con la domanda crescente». E per venire incontro all’una e all’altra ipotesi l’Arabia Saudita che ha riunito ieri a Gedda i maggiori produttori e consumatori di energia, ha annunciato di aumentare la sua produzione di greggio di 200mila barili al giorno a partire da luglio. Una boccata d’ossigeno, anche se non basterà a placare la sete di petrolio che cresce al ritmo di 800mila barili al giorno, e non sarà nemmeno sufficiente a combattere la speculazione e a sgonfiare la bolla finanziaria che si ripercuote sui prezzi delle materie prime. Sono gli stessi sauditi a saperlo, ma sanno anche che una recessione mondiale dovuta all’alto prezzo delle materie petrolifere danneggerebbe loro stessi in primo luogo.

Come sempre, la verità è più facile che stia nel mezzo, e che l’escalation del prezzo del petrolio abbia come cause sia la carenza di offerta a fronte di una domanda crescente sia fenomeni speculativi. Come è assai probabile che dietro alla scarsità di offerta vi sia un serio problema strutturale, che probabilmente non incide più di tanto nei giacimenti arabi ma che ha serie basi di verità negli altri giacimenti strategici mondiali. Come è altrettanto probabile che dietro alle speculazioni finanziarie vi sia la necessità da parte delle borse e della finanza americana di recuperare le perdite per lo scoppio della bolla speculativa dei subprime e degli hedge fund. Che secondo alcuni analisti economici costerà al sistema mondiale 1300 miliardi di svalutazioni, oltre alla perdita della libertà per una sessantina di operatori finanziari negli Usa, accusati di aver ingannato gli investitori che hanno per questo perso miliardi di dollari. Sta di fatto che la crisi americana dei subprime è iniziata all’incirca un anno fa e che, all’incirca, dallo stesso periodo è iniziata la corsa al rialzo del prezzo del greggio alla borsa di New York.

Segnali, mazzate per l’economia mondiale, rivalutazioni in negativo dell’ ”effetto globalizzazione” da parte di chi (vedi Tremonti) ne è stato strenuo sostenitore sino a poco tempo fa. Tutti convinti che il mercato fosse in grado di darsi da solo delle regole, purchè lasciato libero di muoversi. Sino a dover ammettere che non solo il mercato da solo non si autoregola, ma anche constatare che la ricerca di qualcuno che lo faccia è al momento senza risultato. Per questo anche la richiesta che viene dai paesi arabi, che in cambio dell’aumento di produzione di greggio chiedono all’Occidente che si dia un freno alla speculazione finanziaria impazzita, è destinata a cadere nel vuoto.

Siamo di fronte all’incontrollabilità della economia finanziaria globalizzata, che procede in maniera assolutamente divergente rispetto all economia reale, pur avendo su queste effetti dirompenti. Sarebbe allora auspicabile che si cogliesse questa occasione memorabile per riorientare almeno i consumi, seguendo la propensione che da parte dei consumatori, obbligati a rivedere intanto quelli dei carburanti, comincia a manifestarsi. Quattro dollari al gallone per la benzina sono già stati un buon deterrente per i consumatori americani a far scendere i rifornimenti alla pompa, stessa cosa che si registra anche tra gli automobilisti italiani, tanto che c’è già chi sostiene che più delle istanze ambientaliste hanno avuto effetto i rincari della benzina, per far lasciare l’auto in garage.

Purtroppo i segnali che si registrano in tal senso non sono solo impari rispetto alle esigenze, sono addirittura opposti e anziché pensare a politiche per orientare l’economia verso una rotta di sostenibilità si pensa, anche da noi (e dopo i roboanti annunci nuclearisti), a cercare di cavare il sangue dalla rape: così si può leggere l’intenzione annunciata dal ministro dello Sviluppo Scajola di tornare a trivellare il fondo dell’Adriatico per cercare gas e petrolio. Con il rischio che anziché andare a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, che potrebbero far sprofondare sott’acqua tutta l’area da Venezia a Ravenna, si potrebbero addirittura accelerare.


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