[20/06/2008] Energia

Chi di accordo nucleare ferisce di accordo nucleare perisce

LIVORNO. Il Senato Usa ha vietato alla Casa Bianca di mettere in atto l’accordo di cooperazione russo-americano sull’energia nucleare civile che era stato firmato il 6 maggio tra rulli di tamburi e fanfare di giubilo dei nuclearisti di tutto il mondo. L’accordo prevedeva l’esportazione di tecnologia nucleare americana verso la Russia e da Mosca ci si affretta a dire che è «conforme ala capitolo 123 dell´Atto sull’energia nucleare».
Ma secondo la mozione approvata dai senatori Usa «Gli Stati Uniti non potranno mettere in vigore l’accordo concluso con la Russia per l’esportazione di materiali o beni, servizi e tecnologie nucleari, fino a che non verrà confermato al Congresso dal presidente degli Stati Uniti d’America che la Russia abbia sospeso il suo sostegno nucleare e tutte le forniture di armi convenzionali e missili all’Iran». Inoltre, gli Usa non potranno concludere con la Russia accordi di cooperazione nel settore dell’energia nucleare fino a che «l´Iran non avrà sospeso il suo programma di arricchimento di uranio».

Il provvedimento per le sanzioni economiche contro l’Iran prevede anche che il presidente Usa abbia 180 giorni dall’eventuale entrata in vigore dell’accordo per comunicare al Senato la lista di tutte le compagnie straniere che abbiano effettuato investimenti superiori ai 20 milioni di dollari nel nucleare iraniano dopo il primo gennaio 2008. Il che si tradurrebbe automaticamente in un embargo per la compagnia nucleare statale Rosatom che rifornisce di combustibile ed attrezzature nucleari la centrale iraniana di Buchehr.

Le prime reazioni russe non sono rassicuranti: secondo quanto scrive oggi Ria-Novosti «il rifiuto da parte del Congresso americano dell’accordo di partenariato russo-americano nel campo dell’energia nucleare civile potrebbe spingere la Russia ad abbandonare la cooperazione sul dossier nucleare iraniano». Una conseguenza più che probabile del voto americano potrebbe essere anche il rifiuto speculare della Russia di ogni collaborazione sul nucleare con gli Usa, ad iniziare dal non rispetto degli obiettivi di non proliferazione nucleare, con una riduzione della già scarsa trasparenza dei siti nucleari russi e della riconversione delle testate dei missili nucleari ex-sovietici.

E a proposito di nucleare militare russo, a metterci un carico da 90 è direttamente George W. Bush che in un messaggio indirizzato al Congresso scrive che «Gli importanti stock di materiali nucleari a vocazione militare che si sono accumulati sul territorio della Federazione della Russia rappresentano sempre una minaccia grave ed eccezionale per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti». Bush ha quindi deciso di prolungare di un anno il decreto del 21 giugno 2000 che garantisce alle centrali nucleari Usa la libera importazione di combustibile russo prodotto da materiale atomico militare. Bisognerà vedere se i russi ci stanno ancora dopo lo sgarbo del Senato Usa.

Per Bush comunque «Tra gli impegni maggiori degli Stati Uniti in materia di sicurezza nazionale, c’è la necessità di vigilare affinché i materiali nucleari estratti dalle ogive nucleari russe in virtù dei diversi accordi sul controllo degli armamenti e sul disarmo, siano riciclati a fini pacifici con la più grande trasparenza possibile», Bush ha poi ricordato «un rischi di proliferazione dovuto all’accumulo di enormi stock di materiale nucleare a vocazione militare in Russia».

Dalla capitale dell’Uganda Kampala, dove partecipa al Consiglio dei ministri degli affari esteri della Organization Of The Islamic Conference, l’iraniano Manouchehr Mottaki se la ride probabilmente sotto la sua barba sciita per la rottura tra due Paesi del Club dei 6 che dovrebbero sorvegliare l’atomo di Teheran ed affibbiare sanzioni. Ha convocato i giornalisti per dire che «Il governo americano vuole impedire lo sviluppo da parte dell’Iran della tecnologia nucleare a scopi pacifici. Tehéran non si piegherà alle pressioni occidentali. Niente autorizza gli Stati Uniti, che contano sui loro reattori nucleari per produrre il 25% della loro elettricità, ad impedire all’Iran di utilizzare pacificamente le tecnologie nucleari. Fino ad oggi, gli Stati Uniti sono il Paese che ha testato la terza, quarta e quinta generazione di bombe nucleari, un tale Paese non è nella posizione di istruire altri Paesi sul fatto di avere o meno l’energia nucleare».

Una contraddizione che trova probabilmente d’accordo l’ex comunista Russia, ma ancor più il partito comunista-marxista indiano (Cpm) che ha avvertito che la sinistra indiana è pronta a far saltare nel parlamento di New Delhi un accordo sul nucleare civile al quale gli Usa tengono invece molto. Insomma chi di accordo nucleare ferisce di accordo nucleare perisce, verrebbe da dire. Ma il Cpm indiano è pronto a ritirare il suo sostegno al governo di alleanza con il partito del Congresso se «persisterà nella strada di un accordo nucleare India-Stati Uniti».

E Sitaram Yechury, dell’ufficio politico del Cpm ha detto alla televisione indiana Ndtv che quelli del partito del Congresso «Hanno tempo fino al 25 giugno, date della prossima riunione dell’Alleanza progressista unita (che raccoglie i piccoli partiti della sinistra comunista e regionale indiana ndr), per decidere. Se persistono, noi dovremo riconsiderare il nostro sostegno». E senza i 64 parlamentari comunisti e di estrema sinistra il governo indiano crollerebbe e probabilmente con le nuove elezioni tornerebbe al potere la destra nazionalista induista, quella che ha lanciato la sfida nucleare al Pakistan e che non si sogna nemmeno di firmare il trattato di non proliferazione nucleare, sull’adesione al quale gli Usa sono durissimi con alcuni e morbidissimi con altri.

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