[19/06/2008] Comunicati

Strategie per un Pianeta sostenibile

FIRENZE. Mentre in Europa la ribellione studentesca accendeva uno straordinario movimento culturale e politico che avrebbe cambiato la scala dei valori etici e sociali di gran parte dei cittadini europei, nell’aprile 1968, a Roma, Aurelio Peccei e lo scienziato scozzese Alexander King, insieme ad altri intellettuali, politici e premi Nobel, fondava, presso la sede dell’Accademia dei Lincei, il Club di Roma.

La “missione” di questa associazione non governativa, di cui due giorni fa, nell’Auditorium di Roma, progettato da Renzo Piano, sono stati festeggiati i suoi 40anni di vita, sarebbe stata quella di agire come catalizzatore di grandi cambiamenti globali.

Il Club di Roma seppe conquistarsi subito una “scena mondiale” nel 1972, traducendo il Rapporto sui limiti dello sviluppo (The Limits of growth), commissionato al prestigioso MIT di Boston dagli autorevoli padri fondatori del Club.

Donella Meadows insieme all’economista James Forrester ne furono gli autori principali, sostenendo la tesi che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente le fonti energetiche non rinnovabili.

La crisi petrolifera del 1973 attirò ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica su questo problema e quel che allora veniva descritta come una previsione “ da leggenda metropolitana”( il declino del petrolio), oggi è divenuta drammatica realtà in linea con quelle anticipatorie previsioni. Oggi abbiamo la conferma che l’umanità è destinata a confrontarsi nei prossimi decenni con le conseguenze del superamento dei limiti fisici del Pianeta e il superamento del picco di Hubbert per il petrolio è la prova più evidente che quegli scienziati del prestigioso MIT di Boston “avevano ragione”.

Molti di quegli scienziati che elaborarono il primo Rapporto del Club di Roma, sono convenuti a Roma per ricordare all’opinione pubblica mondiale che stiamo vivendo un periodo geologico che sarà ricordato (secondo la definizione data dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen) come il periodo dell’Antropocene, nel quale la popolazione mondiale ha ormai sorpassato i 6,6 miliardi di persone e le previsioni dicono che entro il 2050 saremo 9,1 miliardi, secondo uno scenario intermedio tra i 7,5 ( il più cauto) e i 12 miliardi di persone( il più estremo, ma possibile).

Il professor Lutz, direttore dell’Istituto Demografico dell’IIASA a Vienna, ha dimostrato, in uno specifico panel a esso dedicato, che il XXI secolo sarà il secolo dell’invecchiamento della popolazione mondiale e avremo un Pianeta diviso in due grandi “ emisferi demografici” : l’Africa, nella quale la popolazione raddoppierà o addirittura triplicherà nel corso dell’intero secolo, mentre in Europa dell’Est si dimezzerà e perfino la Cina, a partire dal 2040 inizierà la fase discendente della transizione demografica.

Lester Brown (Nella foto) ha fornito due certezze al pubblico che lo ascoltava nell’Auditorium di Roma: la prima è che è necessario stabilizzare la popolazione mondiale intorno agli 8 miliardi di persone, la seconda che è necessario tagliare dell’80% le emissioni attuali per raggiungere una velocità di cambiamento dell’economia mondiale adeguata alla velocità con la quale si stanno sciogliendo i ghiacci dei Poli o il permafrost che ne costituisce il supporto.

Il professor Valentini ( Università della Tuscia) ha ricordato che all’interno del permafrost è contenuta una vera e propria “ bomba di carbonio” che può essere immesso in atmosfera con una velocità impressionante , a causa del progressivo riscaldamento terrestre. Gli impatti dei cambiamenti climatici, ha ricordato a questo proposito il Prof Bertollini, possono ridurre dal 5 al 15% il PIL dei Paesi ricchi, creando delle conseguenze sociali drammatiche paragonabili alla Grande Depressione che, negli anni 30, colpì gli Stati Uniti e contro la quale si battè con successo il Presidente Franklin D. Roosvelt.

Molti scienziati hanno confermato, nel meeting di Roma, che la sfida per prevenire improvvise catastrofi di dimensioni regionali o addirittura continentali sono connesse alla velocità con cui riusciremo ad attuare politiche mondiali di tassazione delle risorse energetiche non rinnovabili e di tutela e incremento della biodiversità vegetale e della sicurezza alimentare ,scegliendo un modello di sostenibilità dello sviluppo fondato sull’uso di energie rinnovabili, sulla riduzione dell’urbanizzazione dei suoli e sull’incremento della sicurezza alimentare, cibo e acqua.

Lester Brown ha evidenziato come negli USA,oggi, sarebbe sufficiente una pianificazione sostenuta di rotori eolici capaci di sfruttare le enormi potenzialità dei venti che battono costantemente il North Dakota, il Kansas e il Texas per soddisfare integralmente la domanda energetica globale degli Stati Uniti, sostituendo tutte le centrali a carbone e a olio combustibile esistenti.

L’osservatorio del WorldWatch Institute, di cui è Lester Brown è Presidente, ha anche fornito la notizia che negli Stati Uniti si è prossimi a varare una moratoria nella costruzione di nuove centrali a carbone, che , avverrà nei primi cento giorni della Presidenza, se Barak Obama sarà eletto alla Casa Bianca.

Recenti ricerche hanno messo in evidenza anche che il 40% della domanda energetica mondiale potrebbe essere soddisfatta dall’utilizzo energetico delle biomasse, le quali raggiungono un picco di ottimale produttività biologica nelle aree tropicali del Pianeta.

Tuttavia uno sfruttamento intensivo di tali colture vegetali in quelle aree potrebbe creare uno squilibrio ecologico con le enormi superfici di foreste e zone umide ivi presenti oppure creare un serio conflitto con la carrying capacity di ambienti rurali necessari alla produzione di cibo.

Come ha rivelato il professor Antonio Navarra, questo conflitto si è già manifestato in occasione della messa a coltura di enormi superfici per le barbabietole e le culture specializzate nella produzione di biomasse per ottenere bioetanolo e altri combustibili di origine naturale e rinnovabile.
Il Club di Roma propone oggi che lo sviluppo di tali colture avvenga non negli ambienti a più elevata produzione primaria del nostro Pianeta, bensì nei numerosi deserti di sabbia di cui è piena la superficie terrestre, irrigandole con sistemi goccia a goccia di acque reflue degli impianti di depurazione municipale delle acque o delle fognature urbane.

Tutti i partecipanti allo straordinario evento, (circa 300, nelle due giornate) con il quale è stato celebrato anche il centenario della nascita del fondatore e animatore del club di Roma, Aurelio Peccei, hanno convenuto che è urgente una revisione del Trattato di Kyoto per raggiungere più in fretta obiettivi di cambiamento globale dell’economia del petrolio.

Nel solco delle idee di Peccei e di King, tutti i partecipanti alla Conferenza hanno convenuto che è urgente un cambiamento del ruolo e della struttura dell’ONU, incapace attualmente di creare quella svolta radicale nei governi dei paesi ricchi e di quelli in via di sviluppo adeguata alla drammatica velocità con la quale l’ecologia ferita del nostro Pianeta reagisce alle applicazioni sbagliate della crescita economica.

Nonostante i tentativi effimeri di qualche giornalista “di regime”, il tema del nucleare non è stato nemmeno sfiorato dai relatori della Conferenza del club di Roma: «è un indicatore del fatto che tutti noi guardiamo al futuro, non al passato» ha detto l’infaticabile organizzatore dell’evento storico, Gianfranco Bologna. Un segnale importante per il Ministro dell’industria dell’attuale governo italiano, Claudio Scajola, assente dal meeting, sul quale converrebbe che egli riflettesse a lungo.

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