[18/06/2008] Energia
Il nuovo Governo ha riproposto il nucleare ed ha affermato che entro cinque anni sarebbero iniziati i lavori per nuove centrali nucleari. E’ cominciata così una Campagna di persuasione della pubblica opinione con affermazioni e dati, falsi e devianti, sui benefici di questa fonte sul surriscaldamento della Terra e in generale sull’Ambiente, sulla dipendenza energetica del nostro Paese, sul costo del kWh, contestualmente rassicurando sulla sicurezza degli impianti di “terza” e “quarta” generazione e sullo smaltimento delle scorie radioattive.
La verità è profondamente diversa.
A parità di potenza installata ed energia elettrica prodotta, la quantità di calore di un impianto nucleare disperso nell’ambiente esterno (in atmosfera, con le torri di raffreddamento o in mare o in fiume) è nettamente superiore a quello di un moderno impianto termoelettrico a ciclo combinato: il nucleare aumenta il riscaldamento della Terra molto di più delle stesse centrali termoelettriche.
L’Italia non ha significativi giacimenti di minerale di uranio, per cui per le sue eventuali centrali dovrebbe acquistare il combustibile nucleare da altri Paesi, non solo produttori ma soprattutto possessori delle tecnologie di arricchimento, e dipenderebbe in maniera incondizionata da altri per la delicatissima fase del riprocessamento del combustibile irraggiato.
Il nucleare, nel caso irrealizzabile di 5 centrali “della terza generazione” da 1600 MW, coprirebbe meno di un decimo del fabbisogno reale energetico italiano e meno di un terzo della dispersione e delle perdite prima del consumo (pari al 26% dell’intero consumo energetico). La cifra che lo Stato dovrebbe investire sarebbe presumibilmente di 100 Miliardi di Euro: ammettendo di scaglionare questo investimento in dieci anni, ogni anno quasi la intera manovra finanziaria del 2008 andrebbe per gli impianti nucleari, per solo un quarto del fabbisogno di potenza elettrica!
I costi del KWh nucleare imputabili all’investimento, all’esercizio e alla manutenzione sono enormemente superiori a qualunque altra fonte di produzione di energia.
Ogni fase dell’attività connessa agli impianti nucleari è ad altissimo rischio, dal trasporto del combustibile irraggiato o da riprocessare, per incidenti o sabotaggio, al deposito provvisorio dentro o fuori agli impianti e naturalmente agli incidenti nucleari nell’esercizio degli stessi impianti che sono continuati a verificarsi interrottamente dopo Chernobyl, anche se tenuti nascosti.
Artatamente si parla di scorie per identificare la entità del materiale contaminato da smaltire: la realtà è che in un impianto nucleare migliaia di tonnellate di materiale sono continuamente contaminate anche nella migliore condizione di esercizio.
Vi è nel mondo un ripensamento ed un forte rallentamento del nucleare civile, con modesta tendenza alla crescita solo in paesi in cui la tutela dell’ambiente vale ben poco rispetto al cosiddetto sviluppo o dove vi sono o vogliono realizzarsi armamenti nucleari! Perché nessuno può contestare la connessione strettissima tra nucleare civile e nucleare militare.
Non vi è posto per impianti nucleari nel nostro Paese che è ad alto rischio per terremoti, alluvioni e dissesti idrogeologici, abitato senza soluzione di continuità - fatta eccezione per parchi e riserve naturali - con beni naturalistici, culturali, archeologici, religiosi, distribuiti ovunque, con un’agricoltura ed un turismo capillarmente diffusi, ricchezze primarie della collettività e con una consolidata cultura e storia ambientalista, di primato della salute rispetto ad ogni monetizzazione, di difesa dei diritti.
Il Popolo Italiano con il referendum abrogativo dell’8 e 9 novembre del 1987, ha detto chiaramente no al nucleare. Il risultato del referendum non può essere modificato da nessuna figura istituzionale o da esecutivi o anche da maggioranze parlamentari senza una nuova verifica della stessa volontà popolare.
I sottoscrittori del presente Appello, che aderiscono anche al Comitato per il No al Nucleare, chiedono al Presidente della Repubblica di non firmare alcun atto che sia in contrasto con la volontà popolare espressa dai referendum del 1987 sul nucleare.