[18/06/2008] Energia

Greenpeace, Legambiente e Wwf manifestano davanti a Palazzo Chigi

ROMA. Il nucleare non contribuirà a ridurre la bolletta energetica del nostro Paese perché è la fonte d’energia più costosa che ci sia. Non è la risposta al mutamento climatico, perché richiederebbe investimenti tali da sottrarre risorse per lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, impedendo il raggiungimento degli obiettivi vincolanti fissati dalla Ue. Non ha risolto nessuno dei problemi di smaltimento delle scorie e di sicurezza degli impianti.

Ecco perché Greenpeace, Legambiente e WWF si sono date appuntamento oggi davanti a Montecitorio. Per dire no all’opzione nuclearista portata in consiglio dei ministri e in base a cui il governo promuoverebbe a caro prezzo un programma arretrato e insicuro di centrali di terza generazione.

Tutti gli studi internazionali mostrano come il nucleare sia la fonte energetica più costosa. Gran parte del costo dell’elettricità da nucleare è legato al costo di investimento per la progettazione e realizzazione delle centrali, che è almeno doppio di quanto ufficialmente dichiarato, e richiede tempi di ritorno di circa 20 anni. Dove il kWh da nucleare costa apparentemente poco è perché lo Stato si fa carico dei costi per lo smaltimento definitivo delle scorie e per lo smantellamento delle centrali.

In Italia per rendere il nucleare un pezzo consistente della produzione energetica nazionale occorrerebbe costruire da zero tutta la filiera, con un immenso esborso di risorse pubbliche. Servirebbero almeno 10 centrali, per un totale di 10-15mila MW di potenza installata, e tra i 30 e i 50 miliardi di euro di investimenti, senza dimenticare gli impianti di produzione del combustibile e il deposito per lo smaltimento delle scorie. Le centrali, nella migliore delle ipotesi, entrerebbero in funzione dopo il 2020, e gli investimenti rientrerebbero solo dopo 15 o 20 anni.
Il nucleare, inoltre, può fornire solo elettricità e questa rappresenta il 15% degli usi finali di energia mentre l’85% è costituito da carburanti per i trasporti e calore per riscaldamento e processi industriali.
Non esistono ad oggi soluzioni concrete al problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall’attività degli impianti o dalla loro dismissione. Le circa 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotte finora nel mondo sono tutte in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivi.
Rimangono tutti i problemi legati alla contaminazione “ordinaria”, derivante dal rilascio di piccole dosi di radioattività durante il normale funzionamento delle centrali. Sulla sicurezza degli impianti ancora non esistono garanzie per l’eliminazione del rischio di incidente e la conseguente contaminazione radioattiva. Anche nell’improbabile ipotesi di riuscire a realizzare centrali di quarta generazione, queste non riusciranno a vedere la luce prima del 2030, se non addirittura del 2040. Resta ancora irrisolto il problema di approvvigionamento dell’uranio, risorsa anch’essa limitata e concentrata in pochi paesi ma non in Italia.
Se la priorità fosse realizzare centrali nucleari, significherebbe mettere una pietra tombale su qualsiasi prospettiva di riduzione delle emissioni di CO2. Gli investimenti essendo economicamente alternativi, dovremmo dire addio agli obiettivi comunitari e vincolanti del 30% di riduzione delle emissioni di CO2, del 20% di produzione energetica da rinnovabili e del 20% di miglioramento dell’efficienza energetica al 2020.

Per Greenpeace, Legambiente e WWF la soluzione per fermare la febbre del pianeta e ridurre la bolletta energetica italiana è fondata sul risparmio, sull’efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Torna all'archivio