[16/06/2008] Recensioni

La recensione. Il messaggio narciso di Mauro Miccio

Per un professionista della comunicazione, sia esso un giornalista oppure sia “dall’altra parte della barricata”, ovvero un addetto stampa, questo libro non farà altro che confermare la quotidianità delle azioni che si trova ad agire e dei problemi che si trova ad affrontare ogni giorno. Oppure farà pensare a quanto “colleghi” non solo non leggeranno mai questo per certi versi anche banale manuale di teoria e tecnica della comunicazione, ma soprattutto agiranno molto spesso in modo completamente sbagliato. Anche perché il grande male della comunicazione in Italia, da cui fortunatamente ma con grande lentezza stiamo uscendo, è la convinzione che la comunicazione si possa “fare in casa”: in un Paese come l’Italia fatto da piccole e medie imprese, ogni Pmi metterà nei propri uffici o affiderà a un consulente esperto la gestione dell’amministrazione, quella dei libri paga, la tutela giuridica, l’assistenza software o hardware…. Ma solo raramente ancora oggi si sceglie un professionista della comunicazione per gestire la propria immagine aziendale, che più spesso si preferisce affidare alla figlia neolaureata, all’amico intellettualoide o ancor peggio al primo stagista che passa e che dopo qualche mese sarà sostituito dal nuovo stagista di turno.

Del resto per Mauro Miccio, docente di Comunicazione pubblica e di impresa all´Università degli Studi di Roma Tre (Facoltà di Scienze Politiche) e alla Luiss Guido Carli, “Il messaggio narciso” è solo l’ennesima fatica dedicata a indagare l’evoluzione della comunicazione pubblica e d’impresa in Italia. Forse la particolarità di questo lavoro è annunciata dal sottotitolo del libro, che è “la comunicazione nella complessità”. Infatti al di là di una prima parte del testo puramente teorica e filosofica, in cui vengono prese in analisi le categorie "logos", dell´"identità" e della crisi in relazione ai diversi modelli di comunicazione, fanno seguito capitoli maggiormente legati all´uso quotidiano degli strumenti della comunicazione, partendo dal presupposto della complessità stessa della comunicazione: oggi “è come se per arrivare alla nostra destinazione dovessimo usare diversi mezzi di trasporto: l’auto, poi il traghetto, poi l’aereo, il treno e infine il taxi. Tutti sono indispensabili per raggiungere la meta perché il processo multimediale è cresciuto attraverso lo sviluppo delle tecnologie e all’interno di questa realtà si è capito piano piano che quello che era il modo di comunicare classico si era trasformato in tanti modi di comunicare”.

La complessità non riguarda solo i mezzi del comunicare ma l’intera strategia comunicativa, che per rispondere alle esigenze dell’azienda o dell’ente deve necessariamente partire dall’ascolto. E deve necessariamente finire con una reazione, ben sapendo che “le notizie generano comunicazione solo se c’è qualcuno che le ascolta, o le vede, o le legge: il processo non si completa se non c’è ritorno, altrimenti ci troviamo di fronte alla mera informazione”.

Del resto comunicare comprende tutto ciò che implica una relazione con gli altri.

Nella seconda parte del libro, quella più concreta, Miccio prende in esame alcune particolari tipi di comunicazione, come quella finanziaria, e quella interna all’azienda, ma analizza soprattutto la pianificazione della gestione della comunicazione nelle fasi di emergenza e di crisi di un’azienda (che deriva dal greco krisis, ovvero giudizio scelta, decisione), senza ignorare temi chiave nella comunicazione di oggi, quali per esempio il fenomeno Nimby e quello delle lobbies, un concetto ancora molto equivoco frutto soprattutto della mancanza di un riconoscimento professionale per coloro che fanno lobbismo di mestiere.

Le considerazioni a cui Miccio affida il compito di concludere il suo lavoro tornano ancora sul tema della complessità della comunicazione: «Il problema dei canali comunicativi oggi viene bypassato dalla comunicazione delle piccole emergenze quotidiane (…). Se la crisi può essere un’opportunità di cambiamento, ciò si può verificare anche in ambito comunicativo; lo scopo diventa quello di prevenirla, di governarla piuttosto che gestirla o addirittura subirla».

Miccio non dimentica infine di sottolineare la formazione che lui identifica nell’ascolto: «L’elemento caratterizzante è l’ascolto, vero file recorder del logos, cioè del processo comunicativo, vera e propria stanza di compensazione tra le emergenze quotidiane, le identità messe in discussione e le risposte comunicazionali alla complessità».

In un altro capitolo del libro Miccio aveva già spiegato che cosa intendeva per ascolto andando a sviscerare nel dettaglio le attività che un buon comunicatore deve assolvere quando un’azienda chiede il suo aiuto: raccolta dei dati di base (prima attraverso un briefing fatto dal committente, una sorta di confessione dove non si deve nascondere nulla), quindi un brain storming a ruota libera con i vertici aziendali, successivamente dovrà individuare gli obiettivi, la strategia da adottare per raggiungerli e gli strumenti attraverso i quali la stategia potrà essere messa in atto.

Forse è proprio questo punto quello più debole di questo libro: l’ascolto non può limitarsi a un briefing e a un brain storming, il comunicatore non può essere a 360 gradi, ma è necessario che il comunicatore si specializzi in un settore: quello finanziario, quello economico, quello sportivo,… e quello ambientale. E siccome questo vale (dovrebbe valere) anche per i giornalisti, il rischio è quello che tra chi emette il messaggio e chi deve riceverlo, si crei l’ennesimo cortocircuito in cui è solo l’informazione competente e di qualità a rimetterci.

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