[16/06/2008] Comunicati

L’informazione e la scomparsa della sostenibilità

LIVORNO. Era solo dicembre, poco più di 6 mesi fa, quando il cambiamento climatico invase le pagine di tutti i giornali del mondo e riuscì perfino a sbarcare per qualche breve fotogramma sulla Rai e su Mediaset.

La conferenza mondiale sul clima di Bali segnava la sconfitta della politica eco-scettica degli Usa, sottolineata con la firma del Protocollo di Kyoto da parte del nuovo governo laburista dell’Australia, e l’inizio di un cammino verso Copenaghen ed un nuovo trattato su clima ed emissioni che vedeva protagonista una “virtuosa” Unione europea, con il suo pacchetto energetico per il 2020 appoggiato dai Paesi in via di sviluppo come esempio da seguire per gli altri Paesi industrializzati.

Il fallimento dei Bonn climate change talks, della seconda tappa di avvicinamento al post-Kyoto, è invece avvenuto nell’indifferenza generale dei media, qualche notiziola su quelli internazionali, nemmeno un necrologio su quelli italiani.

L’attenzione è tutta concentrata sulle riunioni preparatorie del G8 che si terrà in Giappone, che pure hanno il climate change tra i loro argomenti, ma sembra più un residuo rimasto attaccato in un’agenda ormai fissata che il tema cruciale che doveva essere all’inizio.

A tenere banco sono il costo del petrolio, i futures Usa, la paura per le rivolte del pane dei poveri che si trasformano nell’inflazione dei costi del cibo nei supermercati occidentali…

Il global warming rimane sullo sfondo, annebbiato e scomodo come un miraggio sahariano, ma la strategia non c’è ancora e prevale la tattica, l’urgenza fa perdere di vista il problema centrale che non è solo di caldo e perdita della biodiversità, ma dell’uso e dell’abuso delle risorse del pianeta che è il vero padre della crisi che viviamo.

Il cambiamento climatico, spogliato dai suoi aspetti “pittoreschi”, dall’estinzione dell’animale “simpatico” e raro, dalla solidarietà a basso costo per i profughi ambientali di isole coralline che sprofondano in mari tropicali, dagli orsi che non trovano più ghiaccio e foche, diventa notizia difficile da “vendere”, “antipatica” perché mette in forse il nostro modello di sviluppo e consumi, ci richiama a responsabilità collettive verso il pianeta, all’analisi di un’economia che ha oltrepassato da tempo i limiti del sostenibile.

Quello che prima era un rischio riconosciuto e condiviso (ri)diventa inutile catastrofismo e ci si affida a miracoli nucleari e biotecnologici per assicurarsi l’assoluzione da una colpa confessata malvolentieri.

E allora la corsa veloce del petrolio verso i 200 dollari al barile diventa la scusa per cancellare dalle pagine dei giornali Bonn ed il Post-Kyoto, la Robin Tax prende il posto (e i soldi) della Carbon Tax considerata indecente per i consumi, l’urgenza è il subito, il futuro, privato della pittoresca palla di vetro mediatica e degli orpelli spettacolari, è troppo e concretamente scomodo, non interessa, non porta voti e non fa vendere i giornali.

Almeno fino alla prossima catastrofe climatica, a qualche nuova ed annunciata New Orleans, che colpirà qualche Paese ricco e ci farà assaporare sugli schermi televisivi il gusto amaro del rischio climatico, che colpisce anche le villette a schiera e non solo le capanne di canne e fango del Bangladesh.

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