[09/06/2008] Comunicati

Piovono pietre: ma non si apre neppure l´ombrello

LIVORNO. «Siamo molto lontani dallo sviluppo sostenibile», ha dichiarato il direttore» esecutivo dell´Agenzia internazionale per l´energia (Aie, l´osservatorio dell´Ocse), Nobuo Tanaka, all´apertura della riunione dei ministri dell´energia del G8, che si è svolta nel fine settimana a Aomori, nel nord del Giappone. Non è certo una novità, ma lo scenario che ha disegnato il rapporto commissionato all´Aie dai paesi del G8, assieme ai dati emersi dal vertice della Fao, dovrebbe mettere fretta alla politica globale per evitare scenari da catastrofe, che non sono più disegnati dalle cassandre ambientaliste, ma dagli economisti e dai guru della finanza mondiale.

Nello scenario disegnato dall´Aie (che conferma quanto già descritto dal rapporto Stern) vengono indicati come necessari investimenti complessivi per 45.000 miliardi di dollari fino al 2050, l´1,1% del Pil annuo globale, per raggiungere i target proposti dall´Ipcc, ovvero per mantenere la temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi. Per questo scenario, che la Aie chiama Blue, servono quindi circa 500 dollari per ogni tonnellata di CO2, per ottenere il dimezzamento delle emissioni entro il 2050. Se invece la scelta fosse quella dello scenario Act, ovvero di mantenere i gas serra ai livelli attuali, potremmo spendere solo 50 dollari a tonnellata, ma non sarà sufficiente per contenere il surriscaldamento in atto del pianeta.

C´è poi un terzo scenario descritto dall´Aie, chiamato Baseline, che calcola che se rimangono le attuali politiche di sviluppo insostenibile le emissioni di CO2 aumenterebbero del 130% e la domanda di petrolio del 70%, ovvero cinque volte la produzione odierna dell´Arabia Saudita. In questo caso sarebbe la catastrofe, sottolinea l´Aie, non solo dal punto di vista climatico, ma anche sociale. «Dobbiamo agire ora. - ha detto Tanaka – Dobbiamo definire roadmap e accelerare lo sviluppo e l´implementazione della tecnologia al livello globale».

Ma ai segnali che vengono evidenziati, da parte dei tecnici, non sembra corrispondere una risposta così pronta - come sarebbe necessario - da parte della politica. Ne abbiamo parlato con Alberto Castagnola, economista Presidente di Formin, e membro della Città dell´altra economia di Roma.

I segnali ci sono tutti, l´attuale modello di sviluppo non è compatibile con una idea di futuro. Ma le reazioni non sono adeguate. Sembrerebbe un controsenso, non crede?
«La situazione è esattamente questa. C´è stato il IV rapporto dell´Ipcc, c´è l´ultimo libro di Gianfranco Bologna che riassume tutti i motivi di questa situazione, ci sono rapporti di economisti: insomma dal punto di vista della conoscenza abbiamo tutti gli elementi. C´è però anche la tendenza nella letteratura, che pone gli scenari della minaccia futura, a mescolare i vecchi meccanismi che hanno portato alla fame circa 850 milioni di persone con eventi recenti, tipo la misura del governo Bush di riconvertire parte dei combustibili con etanolo. Bisognerebbe essere molto attenti quando si analizzano questi fenomeni e distinguere le cause strutturali dalle decisioni estemporanee».

Mi spieghi meglio
«Fra i problemi strutturali va messo il fatto che molti terreni agricoli che stanno in paesi poveri sono stati destinati ai nostri consumi, con l´appoggio della Fao. E se l´esportazione dei prodotti ha fatto aumentare il pil di questi paesi non necessariamente ha ridotto i livelli di fame, perché è diminuito il territorio destinato a produrre le materie prime necessarie al sostentamento interno».

Ancora una volta la dimostrazione che la crescita del Pil non va di pari passo con l´aumento del benessere di una popolazione.
«Esatto. Allora per questo è necessario cambiare strategia d´intervento, per esempio eliminare i sussidi all´agricoltura nei paesi del Nord, che vanno ad incidere sulle cause strutturali della fame. Poi c´è la misura che Bush ha presentato come ambientalista di produrre etanolo da mais, che in un mese ha fatto quadruplicare il costo delle tortillas e ha determinato l´aumento delle coltivazioni di granturco a scapito di altre coltivazioni basilari. Anche questo ha contribuito all´aumento dei prezzi delle materie prime che è senza dubbio legato anche alla crescita demografica e all´aumento della domanda da parte di paesi emergenti quali Cina e India. Ma ci sono anche altri meccanismi che contribuiscono a questa distorsione e alla mancanza di materie prime per il sostentamento delle popolazioni. Per esempio il Giappone ha un vincolo per impegni presi in ambito Wto, di comprare dall´estero il riso e di non esportarlo e in questo periodo in cui vi sono paesi limitrofi disperati per mancanza dell´alimento fondamentale della propria popolazione, non può venderglielo. C´è poi il fatto che ci sono multinazionali (cinque in particolare) che controllano il mercato e che stanno guadagnando tantissimo da questa situazione: comprano a prezzi irrisori e vendono a prezzi esorbitanti. E su questo stanno guadagnando anche altre imprese, ovvero quelle che commercializzano fertilizzanti, pesticidi e semi, che hanno richieste altissime dai paesi che stanno cercando di aumentare le produzioni di granturco. Aziende che hanno dichiarato in bilancio un aumento del reddito del 50% in una situazione in cui si estendono i paesi che ormai hanno raggiunto la non autosufficienza e che non avendo la possibilità, come la Nigeria che ha il petrolio, di aumentare le esportazioni vedono crescere di giorno in giorno le famiglie alla fame vera».

Ma quello che sembra assurdo è che nonostante sia evidente che se non si toglie il piede dall´acceleratore si va a sbattere contro un muro, non ci sia il minimo accenno nemmeno alla decelerazione. Servirebbe una governance a livello globale o anche i singoli stati possono attivarsi?
«Sì, è un modello di sviluppo che ha creato tantissimi danni. Ogni governo dovrebbe rivedere il meccanismo delle importazioni e dei sussidi e andrebbe rivisto anche il sistema della cooperazione che dovrebbe essere orientato a ricreare meccanismi di produzione locale. Gli aiuti dovrebbero essere dati in questi termini e limitare quelli per il sostegno alimentare solo alla fase acuta. Questa è una richiesta che viene dai paesi del sud del mondo dal 1980 ma ancora non si realizza, quando invece non ci sarebbe nessuna difficoltà a farlo. Servirebbe anche una governance a livello globale, ma nessun organismo sembra avere l´autorità e l´autorevolezza per metterla in atto. Ci vorrebbe il meccanismo della responsabilizzazione ma ancora non esiste né nelle singole sedi politiche né in quelle economiche».

Sabato c´è stata una manifestazione a Milano su questi temi. Una marcia per il clima che ha riunito 55 associazioni, ma la stampa l´ha quasi ignorata, non le sembra strano?
«Non più di tanto perché quel necessario percorso di responsabilizzazione non è ancora cominciato».

Ma secondo lei ci saranno allora i tempi per evitare la catastrofe?
«Io sono un ottimista ma l´analisi fredda e lucida dei danni ambientali e degli squilibri prodotti sul pianeta è ancora peggiore degli scenari futuri. La reazione doveva iniziare da ieri».

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