[09/06/2008] Recensioni

La Recensione. La Perdita di Manuela Fraire e Rossana Rossanda

Manuela Fraire è membro ordinario della Società Psicanalitica Italiana. Rossana Rossanda ha partecipato alla resistenza, è stata dirigente del PCI, ha fondato il quotidiano “Il Manifesto”. Lea Melandri insegna presso l’Associazione per una libera Università delle donne di Milano.
Un dialogo fra due donne, assai diverse, e una postfazione di un’altra donna, sul tema della perdita (della vita, degli amici, dell’amore, dei soggetti collettivi come essenza della politica, dell’idea di alternative e di molto altro ancora….) recensito da un uomo per un quotidiano on line specializzato sui temi ambientali, sulla sostenibilità, sull’economia ecologica: che c’entra?
C’entra, c’entra…………eccome se c’entra!

Il dialogo comincia sulla riflessione attorno alla morte definita come “lo zero: il prima è scomparso e il dopo non c’è” e si sviluppa sugli effetti di questa in chi rimane.
La prosa di Rossanda è struggente ma, al tempo stesso, come sempre, stordisce per la lucidità. “….non saprei neanche immaginarla una vita senza finitudine, sofferenza desiderio…….se qualcuno mi dicesse: adesso facciamo un patto col diavolo, vivrai ancora cent’anni………direi no”.

D’altra parte, sia che la perdita riguardi persone care, sia che riguardi soggetti collettivi sui quali si è investito una vita ( “per me è insensato il mondo in cui viviamo e mi pare sorprendente che ci si rassegni a esso”) la stessa capacità di “elaborare il lutto” raggiunge in Rossanda livelli di sintesi fra ragione ed emozione, dolore e reazione, lucidità e melanconia, impareggiabili e introvabili su qualsiasi mercato, anche quello globalizzato.
“….o ci si lascia trascinare dalla morte, o tutto, e anch’essa, è messo al lavoro per la vita. Ti fa capire di più. Ti matura. Ahimé, ti concima”.

Del resto quando la Fraire incalza sulla perdita dell’impegno politico, la Rossanda risponde che è una perdita di senso perché “è senza senso vivere come si vive: più deprivati di potere che mai sul nostro destino, smarriti di fronte a noi stessi. Si patisce e si subisce.” Ma subito dopo, in rapporto alla scomparsa del PCI, pur rincarando la dose ( è una storia mal finita, per molta debolezza ed errore - ma – il problema che era stato posto resta), Rossanda conferma la sua attitudine ad opporsi alla forza delle cose perché gli è estranea l’assenza del conflitto e gli “interessa il progetto politico più che il come starci”.

E anche se con questo senso dell’indispensabilità dell’agire collettivo ( la politica è un progetto di molti o non è) per cambiare i rapporti di potere, alla domanda “tu affermi spesso – con una certa amarezza – che oggi trovi pochi compagni di strada in questo tuo modo di vedere le cose”, Rossanda risponde, “non trovo quasi nessuno”, subito dopo aggiunge che “nella politica come la intendo io, la sconfitta la vedi, il passo avanti no. E deve essere così”.

Dice di più Rossanda, ad una femminista quale quella con cui colloquia: “fra uomini ci può essere scarsa amicizia ma forte solidarietà nel convergere su un elemento terzo, un obiettivo. Fra le donne prevale la relazione fra loro rispetto all’obiettivo. Per questo, credo, si dividono facilmente in politica. La politica implica tre punti, la relazione due. Io sono, politicamente parlando, un uomo.”

E la Melandri ( Lea Melandri) chiude la sua postfazione da Carloforte dicendo che si, “mi lascio incantare dalla bellezza di questo luogo in ogni ora del giorno e della notte, posso riandare senza stancarmi sugli stessi sentieri, sdraiarmi sugli stessi scogli, meravigliarmi ogni volta che ritrovo una discesa nota al mare. Ma sono anch’io, come Rossana, in guerra con l’inciviltà, con chi si rassegna a vivere deprivato di ogni potere sul proprio destino, preoccupata per il ritiro di molti dalla responsabilità collettiva del cambiamento” E termina con una domanda: “ come pensiamo di poter produrre cambiamenti significativi nel rapporto fra donne e uomini, tra natura e cultura, corpo e pensiero, malattia e salute, morte e vita, se non usciamo dalla gabbia che ci costringe, come la fatica di Sisifo, a oscillare tra alternative che non sono tali e che servono solo a mantenere inalterati i rapporti di potere primordiali”?
Hic Rodus, hic salta, si sarebbe detto una volta.

Il “partire da se” del femminismo ( o il “fare ognuno come se dipendesse da se” ) se non incrocia l’analisi lucida del contesto rischia ( anzi è già così) di diventare corporativismo ed egoismo individualista che alimenta un movimentismo trasversale, apocalittico, localistico, e perciò privo di progetto e quindi di ambizioni che trascendono quella personale. L’analisi concreta della situazione concreta evidenzia l’assoluta impossibilità di tradurre “l’ascolto” di ciò che è frantumato anche solo (?) in diretta rappresentanza sindacale, figuriamoci in diretta rappresentanza politica.

Nell’era dell’economia globalizzata, orientata dalla finanziarizzazione che agisce in tempo reale ( si scambiano virtualmente un miliardo di barili di petrolio e se ne producono realmente 85 milioni), dove, per la prima volta nella storia, il riduzionismo economicista ha innescato spinte concretamente regressive ( i morti di fame aumentano nonostante concerti e riunioni della Fao e del G8), o si ritrova un progetto collettivo orientato dalla sostenibilità sociale e ambientale che agisca ai livelli in cui si producono le contraddizioni o si scivolerà inesorabilmente in un nuovo medio evo. E speriamo che la Rossanda, quando risponde “non trovo quasi nessuno”, possa ancora “nutrirci” a lungo. Almeno fino a rivedere protagoniste moltitudini che lo scongiurino.


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