[05/06/2008] Comunicati

Barak Obama for president (and for the planet?)

LIVORNO. «È tempo di unire il mondo per combattere le minacce comuni del XXI secolo: il terrorismo e le armi nucleari, i cambiamenti climatici e la povertà, i genocidi e le malattie. Questo è il cambiamento». Nel giorno in cui Barack Obama (Nella foto) ha potuto iniziare il suo discorso sospirando «Stanotte posso venire da voi e dire che sarò il candidato del Partito democratico alla presidenza degli Stati Uniti», non è mancata un’allusione - flebile, banale, quasi incidentale – al grande tema dei cambiamenti climatici e della sostenibilità ambientale. Due parole messe lì in una frase annegata in un lungo discorso con al centro la parola ‘cambiamento’ ma formata in realtà soprattutto (e come sempre in America) di patriottismi, minacce anti-iraniane, più o meno velati proclami di guerre, uguaglianza dei diritti e l’immancabile spolverata di complimenti agli avversari sconfitti e a quelli auspicabilmente ancora da sconfiggere.

Se non altro è la fine di un’attesa che sembrava ormai interminabile. Il candidato della svolta tanto attesa da un bel po’ di mondo dopo gli 8 anni di follie a cui ci ha costretto Bush, ora finalmente c’è. Ed è quello su cui erano caricate tutte le attese del nuovo e della svolta. Anche se la storia insegna che il nuovo non significa sempre il migliore e anche se la storia americana insegna che di svolte vere e proprie un Paese come quello ne ha vissute ben poche.

In ogni caso qualche brandello di ottimismo Barack Obama ce lo garantisce: ci lascia almeno la speranza di andare a riaprire una discussione sull’Onu e di recuperare quella multilateralità che il suo predecessore ha calpestato e cancellato. E’ una speranza drammaticamente insufficiente rispetto all’esponenzialità della corsa della crisi mondiale, ma sarebbe pur sempre un passo in avanti.

Dare un giudizio sul programma ambientale del candidato democratico appare infatti tutt’altro che semplice. Ci abbiamo provato alcuni giorni fa parlando con il corrispondente dell’Unità a New York. Difficile perché i programmi della Clinton e di Obama erano identici (cambiavano solo i tempi e gli obiettivi da raggiungere, a volte più o meno dilazionati e cambiava la questione relativa al grande deposito per le scorie nucleari del Nevada: da aprire per Obama, da chiudere definitivamente per Clinton). Ma difficile soprattutto perché parliamo di un Paese di 300 milioni di persone di cui la maggior parte non ha mai sentito parlare del Protocollo di Kyoto, che è stata sì scossa dal film di Al Gore An inconvenient Truth, ma soprattutto dall’impennata dei prezzi dei carburanti e dalla crisi economica che stanno facendo vacillare sempre di più i modelli e lo stile di vita americano.

Detto questo dobbiamo anche ricordare che la vittoria finale di Obama tuttavia, è tutt’altro che scontata. E che l’attenzione all’ambiente promessa dal candidato repubblicano Mc Cain risponde alla precisa esigenza di attirare l’elettorato in bilico. Ma siccome un vecchio adagio sentenzia che non c’è mai fine al peggio (cioè Bush), è bene non fidarsi troppo, e prendersi la (piccola, purchessia) svolta promessa di Barack Obama.

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