[05/06/2008] Parchi

Riflessioni tra dito, luna e un parco dell´Arcipelago a venire

LIVORNO. Il confronto apertosi a seguito di alcune dichiarazioni del presidente del parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, Tozzi, offre lo spunto per tentare di integrare la riflessione che si è aperta. E’ certo che l’isola d’Elba non può pensare che il futuro risieda esclusivamente nel turismo di massa e nelle seconde case, che si debba puntare sulla qualità ambientale.

Ma è altrettanto certo che non ci si può fermare a queste asserzioni se si vuole davvero guardare al futuro. Cioè si deve fare i conti con il passato e si deve avere la forza o il coraggio di andare oltre le consuetudini. Giusto per alimentare la riflessione provo ad offrire qualche spunto.

il passato:
1. è vero, si è costruito troppo e soprattutto troppe seconde case, tanto che il turismo è rimasto addirittura spesso senza servizi integrati ed integrativi
2. c’è stato un disastroso susseguirsi di condoni che hanno alimentato la degradazione del paesaggio e l’appropriazione di rendite private
3. c’è stata una cultura “del mattone” locale, ma sempre sostenuta da bolli e ceralacche, perché i piani urbanistici sono stati regolarmente approvati dal ministero dei LLPP prima, dalla Regione poi (fino alla fine degli anni novanta), e tutto è stato sostenuto in gran parte da interessi di investitori continentali
4. il parco è nato nel 1996 e da allora si può dire che non è cresciuto molto tanto che si spera di avere il piano del parco, nella ottimistica previsione del consiglio regionale, tra 9 mesi (e qui si potrebbe discutere molto sullo snellimento delle procedure)
5. il turismo, oltre l’impiego nella pubblica amministrazione, è stato ed è l’unica reale fonte di sostentamento economico dopo innumerevoli e dispendiosi inutili tentativi di industrializzazione finanziati dalla Cassa del Mezzogiorno con relativo spreco di denaro pubblico

il futuro, ovvero delle domande:
1. se è vero che non si può vivere di solo turismo e tanto peggio di turismo di massa, quali sono le alternative?
2. se ci sono troppe seconde case e se ci sono stati i condoni, quali sono le risorse per combattere l’abusivismo quando è praticamente impossibile demolire abusi palesi perché ricorsi al TAR, al Consiglio di Stato, al Presidente della Repubblica possono procastinare anche per oltre 10 anni una demolizione? Perché la pubblica amministrazione è spesso disarmata per risorse umane e finanziarie per farlo?
3. se è vero che c’è una sorta di bulimia edilizia, dove sono le salvaguardie, i piani paesaggistici?
4 se questa economia non porta da nessuna parte, dove sono i programmi anche di sostegno economico per una diversificazione se la programmazione regionale e provinciale parla ancora di qualificazione del turismo, se l’agricoltura stenta, se addirittura nella prima ipotesi di aree marine protette formulata dal precedente governo Berlusconi non si poteva neppure pensare di fare impianti di itticoltura a gestione biologica, se non si incentiva l’insediamento di attività funzionali a mantenere sull’isola diplomati e laureati?
5. se l’offerta di lavoro è a tempo determinato e per qualifiche non particolarmente elevate: aiuti cuochi, sguatteri, camerieri e similari (con tutto il rispetto per chi fa questi lavori) si pensa di trovare una soluzione di prospettiva a questa società?

Insomma, non credo che alcuno abbia soluzioni miracolistiche, che nessuno possa essere il demiurgo risolutore in un senso o nell’altro. Ritengo invece che ci sia un deficit di confronto, confronto che non può ridursi alla forma istituzionale dei convegni per quanto meritori, come quelli messi in campo di recente da ANCIM, ma deve essere costante e senza rete tra chi è impegnato con responsabilità amministrative. Pensare di avere poteri risolutori, di essere depositari della soluzione vincente, disegnare comunque un proprio ruolo prescindendo dalla complessità e dalla varietà della composizione sociale e politica, dalla difficoltà del confronto, non aiuta nessuno, e allora non è fuori luogo pensare che il problema risieda proprio in questa difficoltà di trovarsi, di abbandonare le proprie certezze, per misurarsi con la fatica del quotidiano e con la sfida di progettare insieme il futuro.

Ovviamente queste cose servono all’Elba, ma come evidente, a ben vedere, non c’è niente di diverso rispetto ad altri luoghi o altre città e forse, anche smettere di considerare quest’isola come qualcosa di diverso, sia dalla parte degli isolani, sia dalla parte dei continentali, potrebbe essere il primo utile passo.

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