[30/05/2008] Consumo

Cibo ed energia, il mercato, i consumi e la carità

LIVORNO. L’“Agricultural Outlook 2008-2017” di Ocse e Fao conferma i dati che Greenreport aveva già anticipato: «i prezzi dei prodotti agricoli dovrebbero rallentare rispetto ai recenti picchi, ma per i prossimi 10 anni si prevede che si stabilizzeranno ben al di sopra dei livelli bassi dell’ultimo decennio».
Martin Perry, Jean Palutikof, Clair Hanson tre scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change e Jason Low, un noto climatologo inglese, scrivono su Nature che l’impegno dei ministri dell’ambiente del G8 di ridurre entro il 2050 le emissioni di gas serra del 50% rispetto ai livelli del 1990 è solo un palliativo: per ridurre davvero i danni del cambiamento climatico sarebbe necessario un taglio dell’80%.

«Uno strano ottimismo – dicono i 4 scienziati - pervade l’arena politica che si ritrova ai summit del G8 e agli incontri dell’Onu sul clima: c’è fiducia nel fatto che si possa trovare un modo per evitare le minacce del cambiamento climatico. Questo è un falso ottimismo che copre la realtà».

Un ottimismo che in Italia rasenta la cecità di un dibattito politico ed economico sempre più provinciale che non tiene conto di quanto le due questioni del cibo e dell’ambiente stiano cambiando gli equilibri del mondo proprio in quanto interferiscono negativamente, radicalmente, con gli schemi dell´economia classica e con il totem della crescita economica.

Se è vero che i prezzi alti colpiscono soprattutto le popolazioni povere che soffrono la fame, è anche vero che 10 anni di prezzi alti, con una popolazione mondiale in crescita e due miliardi e passa di cinesi e indiani che non rinunceranno al “benessere” raggiunto (anche alimentare ed energetico), non potranno essere scaricati nuovamente sui più poveri, cioè sull’Africa, dove il dramma è già in corso, senza pagare un prezzo che probabilmente sarà quello di nuove guerre, tensioni politiche, flussi migratori inarrestabili. I Paesi ricchi non potranno cavarsela con un po’ di carità e qualche concerto benefico, le questioni energetica ed alimentare mettono prima di tutto in discussione il modo di vita occidentale, la nostra bulimia di cibo ed energia, i nostri ipermercati pieni di prodotti ad obsolescenza programmata, l’obesità diventata malattia sociale, il cibo per gli animali da compagnia che occupa sterminati scaffali di prodotti che farebbe la gioia dei profughi ambientali e della fame della Somalia e dell’Etiopia.

«Occorre – dice il rapporto della Fao - mobilitare con urgenza gli aiuti umanitari per fronteggiare questa drammatica situazione, ma per trovare soluzioni sostenibili ed evitare che in futuro si verifichino casi simili, l’enfasi in questi paesi deve essere posta sull’incremento della produzione agricola e della produttività, ed anche sulla crescita e sul generale sviluppo economico».

Ma questo significa che il dumping agricolo europeo ed americano deve cessare, mentre invece è diventato ancora più forte proprio grazie all’aumento dei prezzi.

«La risposta agli aumenti dei prezzi non è il protezionismo – dice il segretario generale dell’Ocse Angel Gurría - ma al contrario l’apertura dei mercati agricoli, e la liberazione della capacità produttiva degli agricoltori, che hanno più volte dimostrato di saper rispondere agli incentivi di mercato. I governi possono fare di più per promuovere la crescita e lo sviluppo dei paesi poveri, così da migliorare il potere d’acquisto dei consumatori più vulnerabili».

Ma forse i consumatori “vulnerabili” sono organici ad una globalizzazione liberista che si alimenta di un protezionismo dei più forti che ha allargato il suo club ai Paesi emergenti, ma che ha bisogno di una “compensazione” crudele che è scaricata sempre sugli stessi: a guardare la mappa della fame si scopre che ad essere colpiti sono gli stessi Paesi di sempre, dove l’emergenza è diventata normalità, dove sono al lavoro il cambiamento climatico innescato dai Paesi sviluppati e i prezzi inaccessibili di una speculazione internazionale che se ne frega della distribuzione equa del cibo e delle risorse e che, anzi, sguazza nell’iniquità di un mercato che ha bisogno sia dello spreco che dell’estrema penuria.

Un preoccupatissimo Jacques Diouf, direttore generale della Fao, ha detto che «È necessario che la comunità internazionale intervenga urgentemente con un’azione coerente per affrontare l’impatto dei prezzi alti sulle popolazioni povere e che soffrono la fame. Oggi sono circa 862 milioni le persone che soffrono la fame e la malnutrizione, questo evidenzia la necessità di reinvestire in agricoltura, che deve essere rimessa all’ordine del giorno dell’agenda politica mondiale per lo sviluppo».

Ma i segnali macroeconomici non sono incoraggianti nei paesi Ocse, cioè quelli più ricchi ed industrializzati, la crescita della produzione di biocombustibili è stata alimentata da incentivi finanziari, e secondo il rapporto «non è certo che la sicurezza energetica e gli obiettivi ambientali ed economici delle politiche bioenergetiche saranno raggiunti con le tecnologie produttive attuali. Il rapporto a questo riguardo suggerisce di esaminare ulteriormente le esistenti politiche bioenergetiche».

E la crisi è sempre più forte anche se il consumo e la produzione dei prodotti agricoli di base, tranne il grano, stanno crescendo più velocemente nei paesi in via di sviluppo. Secondo la Fao «Per il 2017 si prevede che questi paesi domineranno il commercio della maggior parte dei prodotti agricoli. I prezzi alti porteranno benefici alla maggior parte delle attività commerciali agricole sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati. Tuttavia molti agricoltori dei paesi in via di sviluppo non hanno accesso al mercato e dunque non potranno cogliere alcuna opportunità dai previsti aumenti. I mercati cerealicoli rimarranno in tensione poiché è improbabile che le scorte ritornino ai livelli del decennio scorso. Il consumo di oli vegetali, sia dalla produzione di semi oleosi che di palma, cresceranno più velocemente di tutte le altre produzioni nei prossimi 10 anni. La crescita è alimentata sia dalla domanda di cibo che di biocombustibili. L’esportazione di carne in Brasile si prevede crescerà del 30 per cento per il 2017».

Un aumento distorto che si rivolge soprattutto non a sfamare chi ne ha bisogno, ma a compensare la crisi petrolifera e a sostenere più esigenti bisogni alimentari dei nuovi ricchi che chiedono sempre più carne, per produrre la quale c’è bisogno di sempre più cereali che mancano dalla ciotola dei più poveri.

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