[29/05/2008] Comunicati

Rileggiamo il Dpef attraverso la lente dello sviluppo sostenibile

Nel Dpef 2009 della Toscana ci sono novità sostenute in concertazione dalle associazioni ambientaliste: (a), il “Decalogo” degli Stati generali della sostenibilità è atto di governo, (b) l’allegata relazione dell’assessore al Bilancio ne costituisce “interpretazione autentica” e dice cose più chiare e cogenti, (c) per l’integrazione delle politiche e il piano d’azione sui cambiamenti climatici viene istituito un “nucleo di coordinamento” a livello di D.G. della Regione, (d) il “nucleo” e i soggetti della concertazione si confronteranno in materia di sviluppo sostenibile e clima.

Si integrano così le politiche di sostegno alle imprese per azioni virtuose in materia di sicurezza del lavoro, ambiente e sociale, attraverso fiscalità selettiva e la costituzione di un gruppo di lavoro per il federalismo fiscale e la fiscalità ambientale, oltre a molte altre misure in tutti campi, come ad esempio il fondo di assistenza per i cittadini non autosufficienti, gli investimenti per la mobilità e la logistica, il risparmio e la qualità energetica negli interventi di edilizia residenziale, ecc.

Niente è scontato e in particolare per mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, mentre lo sono le resistenze burocratiche all’integrazione delle politiche (ad esempio in materia di ricerca e innovazione). Rimangono questioni irrisolte e pregiudizievoli per l’uso equilibrato e razionale delle risorse come in materia di consumo di suolo o di diritto all’acqua, pur sposando, a parole, i principi della lotta alla rendita e della proprietà pubblica dell’acqua.

Sono risultati parziali e non scontati, mentre a livello nazionale sono certe le politiche contrarie allo sviluppo sostenibile in materia rifiuti, di infrastrutture e dell’energia che ricevono consenso diffuso, problema e novità, mentre le azioni contro i cambiamenti climatici sono nel disinteresse generale.

Anche per questo è necessario riflettere in modo impietoso sull’esperienza di quarant’anni, se e come sia possibile agire nel confronto con le istituzioni, gli interessi economici e sociali, i cittadini e le società locali per lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici. Certo è che l’idea che il "destino dell´umanità" dovesse essere analizzato scientificamente, dal Club di Roma (1968) al Rapporto Bruntland (1987), all’“Earth summit” (1992) non è diventata cuore e mente di classi dirigenti riformiste e dobbiamo capire perché.

L’Agenda XXI, non decollò, neanche in Toscana, nonostante tentativi di singole amministrazioni e volenterose minoranze (in campo economico, sociale e della ricerca), non solo perché di lì a poco si palesarono i “ruggenti anni novanta” (prima fase del capitalismo globalizzato e della finanziarizzazione forzata dei mercati, delle economie e degli stati nazionali) ma anche per la miopia e i gravi limiti (escluse le socialdemocrazie scandinave e quella tedesca) dei poteri politici e delle burocrazie delle nazioni occidentali con l’Italia come fanalino di coda.

La destra internazionale prevale, il caos durerà, i conflitti cresceranno e se ne uscirà, a prezzi molto alti, solo quando nuovi equilibri politici ed economici globali saranno dati, con nuovi accordi e istituzioni a tutti i livelli, ognuno per quel che gli compete.

Sembra passato un secolo da quando si sosteneva la globalità intersettoriale per la quale ambiente e sviluppo non sono due settori diversi e men che mai avversi e la definizione di sviluppo sostenibile come piano d’azione a carattere preventivo (1989). Oggi di tutto questo si è persa cognizione, senza neanche il conforto di grandi intuizioni come allora fu. A noi compete analizzare le nostre responsabilità.
(5. fine)

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