[28/05/2008] Comunicati

Torna il Festival dell´economia e non sembra far rima con ecologia

LIVORNO. Trento ripropone per il terzo anno il Festival dell’economia, che inizierà domani con l’intervento di Tito Boeri (Nella foto), che ne è il curatore scientifico, e offrirà sino al 2 giugno un vasto parterre di economisti, sociologi, politici, giuristi, imprenditori, che si interrogheranno e discuteranno delle tante implicazioni che stanno dietro al tema principale di quest’anno: democrazia e mercato.

«Ci eravamo abituati a credere che non ci potesse essere mercato senza democrazia - scrive Boeri nell’editoriale di presentazione del festival - ma ci siamo dovuti ricredere. Chi non se n’è accorto col Cile di Pinochet, paese piccolo e regime durato meno di 20 anni, ha dovuto fare i conti con il caso, il grande caso della Cina. Non si poteva non ignorarlo».

Non verrà infatti ignorata la Cina, non certo per prenderla come modello di riferimento, anzi continua Boeri «il fatto che esistano al mondo mercati senza democrazia non significa che un’economia di mercato possa sopravvivere a lungo senza democrazia. La crescita economica, misurata nell’arco di decenni, sembra essere più forte nei regimi democratici che in quelli totalitari». E che nelle società occidentali sviluppate, la democrazia non abbia mai creato ostacoli e non sia mai stata un freno per lo sviluppo economico, lo sostiene anche Jean Paul Fitoussi, nel libro La democrazia e il mercato, quando afferma che vi sono “forti indizi empirici” che “la democrazia, ad un identico tasso di crescita di lungo periodo, permetta di aumentare il grado di benessere degli abitanti di un paese”. E la spiegazione che ne dà è per il fatto che la democrazia oltre ad essere desiderabile ed un valore in sé, offre anche il vantaggio di essere un sistema più flessibile e quindi di consentire maggiori e migliori possibilità di adattamento alle diverse circostanze.

Anche se come suggerisce Innocenzo Cipolletta, altro deus ex machina del festival «mercato e democrazia devono tornare a procedere di pari passo e per questo è necessario uno sforzo di comprensione dei meccanismi che regolano entrambi». Non fosse altro perché, le regole tra mercato e democrazia sono necessarie come sottolinea anche Giorgio Ruffolo (sul Sole24Ore) per evitare che «l’eccesso di globalizzazione (che ha mercatizzato l’intera realtà, come sostiene lo stesso Ruffolo ndr) può comportare lo sgretolamento dello Stato, che non fa bene ai mercati concorrenziali. Inoltre, il consumo delle risorse rischia di bruciare un capitale naturale insostituibile». Ma il concetto di capitale naturale, come bene primario non solo da salvaguardare ma, proprio in una logica economica, da fa crescere e fruttare, perché se manca questo bene primario viene a mancare di conseguenza anche il concetto stesso di attività economica, non sembra- almeno dai titoli- essere tema tra quelli in programma nei dibattiti del festival.

Tema complesso, assolutamente innovativo nel campo dell’economia, il capitalismo naturale, al contrario di quello classico, contabilizza le risorse e punta all’efficienza per riuscire a produrre di più con meno. Ridisegna le logiche industriali sulla base di un modello che esclude gli sprechi e minimizza la produzione di rifiuti, punta a sostituire merci con servizi, investe nella protezione e nel proliferare del capitale naturale esistente. Parte dal dato di fatto che senza capitale naturale non c´è vita e dunque nemmeno attività economica. La natura è vista come un enorme fornitrice di servizi, difficilmente sostituibili e completamente gratuiti, quali il ciclo alimentare, la stabilità climatica, la composizione atmosferica, la produttività biologica: in ben pochi casi esistono "servizi" sostitutivi di quelli naturali forniti dall’ecosistema e sono comunque ben poco efficienti. Un concetto che rende quindi assolutamente evidente l’importanza di andare a definire che cosa è bene che cresca e cosa no, anziché inneggiare genericamente alla crescita economica come elemento di garanzia per far aumentare lo sviluppo (che non coincide automaticamente con il livello di benessere) dell’umanità.

«Per quarant’anni la sfida dello sviluppo ha messo un mondo ricco, abitato da un miliardo di persone, di fronte a un mondo povero, con cinque miliardi di persone» scrive Paul Collier, docente di economia a Oxford e coordinatore si un approfondimento sul futuro dell’Africa, all’interno del festival, e continua «la maggior parte di quei cinque miliardi vive adesso in paesi che si stanno sviluppando spesso ad un ritmo incredibilmente sostenuto». Ma lo fanno - ci permettiamo di sottolineare - con un modello di sviluppo che potrebbe non solo non dare mai la possibilità a quel miliardo rimasto ancora al palo di arrivare allo stesso risultato, ma con il rischio che la frenata arrivi per l’intero pianeta. Sarebbe stato interessante in un appuntamento quale il festival dell’economia porre anche questo tipo di riflessione. Può darsi comunque che al di là dei titoli, il dibattito si dipani anche in questa direzione. Sarebbe, altrimenti, davvero una occasione mancata.

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