[22/05/2008] Energia

L’Opec, il demonio e i giochi di guerra in Venezuela

LIVORNO. Il prezzo del petrolio ha ormai raggiunto e superato i 133 dollari al barile e il calo delle riserve petrolifere Usa potrebbe spingerlo ancora più in alto, verso la profezia dei 200 dollari fatta da Hugo Chavez e del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika. Secondo Thomas Boone Pickens, uno dei più attivi e ricchi speculatori americani nel campo del petrolio, il greggio potrebbe raggiungere i 150 dollari entro quest’anno, rendendo probabilmente vani tutti i tentativi occidentali di uscire dalla crisi economica.

Ma le forniture mondiali non sembrano essere in grado di soddisfare la domanda e l’Opec è sotto accusa perché non vuole aumentare il petrolio da pompare nelle vene dell’economia mondiale.

In difesa dei Paesi petroliferi, capitalisti o meno, si erge il presidente del Venezuela Hugo Chavez, che sembra godersela un mondo a fare il demonio preferito nel giardino di casa americano: «Gli Stati Uniti si sforzano di demonizzare l’Opec agli occhi della comunità internazionale e di darle la colpa per il vertiginoso rialzo del petrolio – ha detto Chavez davanti agli studenti di medicina a Caracas - La pressione esercitata dagli Stati Uniti per forzare i Paesi esportatori ad aumentare la loro produzione, che permetterebbe secondo Washington di imbrigliare il rialzo dei prezzi, non avrà alcun effetto. Il rialzo dei prezzi non è dovuto alla superiorità della domanda sull’offerta, ma alla speculazione oltraggiosa all’opera nelle borse mondiali».

Bisogna dire però che per il governo social-bolivariano di Chavez il rialzo del petrolio è una manna, visto che l’aumento dei prezzi riscatta in abbondanza il calo di produzione seguito alla contrastata rinazionalizzazione del settore.

Ma Chavez ha buon gioco quando si fa paladino dei Paesi in via di sviluppo e dice che le nouveau record il record del greggio è il frutto «del consumismo sfrenato e dello spreco di cui sono responsabili le economie avanzate, dell’aggressione contro l’Iraq così come delle minacce costantemente proferite contro il Venezuela e l’Iran».

A scatenare l’ira di Chavez è stato un progetto di legge approvato il 20 maggio dalla Camera dei Rappresentanti di Washington che autorizza la giustizia Usa ad inquisire ed a sanzionare i membri dell’Opec, che dispongono del 67% delle riserve mondiali di petrolio, in caso di creazioni di cartelli petroliferi o di intese sui prezzi.

Una specie di autorizzazione preventiva a sanzioni e boicottaggi alla quale Chavez rispone proponendo la creazione di una banca dell’Opec che metta insieme le riserve in oro dei Paesi esportatori per far fronte alla pressione finanziaria proveniente dagli Usa: «Abbiamo una chance unica di creare la banca più potente del mondo e di modificare gli equilibri delle forze nel mondo».

Poi il presidente venezuelano è andato in televisione ed ha nuovamente accusato gli Usa di aver violato lo spazio aereo del suo Paese: «Fanno spionaggio ed allo stesso tempo testano la nostra capacità di reazione. Gli aerei americani hanno invertito la rota quando i nostri aerei Sukhoi si sono diretti verso di loro». L’incidente è accaduto nei cieli dell’isola di La Orchila, nei Caraibi venezuelani, che ospita una base militare ed una delle residenze di Chavez, Washington conferma e minimizza, si sarebbe trattato di un velivolo antidroga e «l´entrata dell’aereo nello spazio aereo sovrano di un altro Paese è stato volontario».

Chavez ribatte che è una menzogna perché si tratta della quarta violazione dello spazio aereo venezuelano dall’inizio dell’anno e che «La Orchila è un sito interdetto anche all’aviazione civile, e tutti i piloti del mondo sono informati dalle mappe di aviazione».

Giochi pericolosi e parole di fuoco, ma intanto il Venezuela continua a fornire agli Usa il 15% delle loro importazioni di petrolio.

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