[21/05/2008] Energia

Un fungo per produrre i biocarburanti di seconda generazione

LIVORNO. Un gruppo di ricercatori francesi e statunitensi ha scoperto che il fungo Trichoderma reesei degrada in maniera ottimale i vegetali in zuccheri semplici, che sono i componenti di base dell’etanolo.
Il genoma del fungo è stato descritto dai ricercatori del laboratorio Architecture et fonction des macromolécules biologiques (Cnrs, università del Méditerranée et de Provence), in collaborazione con una equipe américaine ed i loro risultati sono stati pubblicati sul sito della rivista Nature biotechnology.

Il laboratorio ha anche messo a punto il database Carbohydrate-Active Enzymes (CAZy), consultabile sul web che descrive un gran numero di famiglie di enzimi che creano o distruggono legami tra gli zuccheri.
Sul sito del Cnrs si legge che la ricerca «dimostra che solo un piccolo numero di geni è responsabile dell’attività enzimatica del fungo. Questo offre nuove prospettive per la produzione di biocarburanti di seconda generazione, a partire dai rifiuti vegetali».

Il fungo filamentoso Trichoderma reesei è stato scoperto durante la seconda guerra mondiale nel Pacifico del sud, dove causava il degrado delle divise e delle tende dell’esercito americano, il cotone non sembra in grado di resistergli. Questo fungo possiede una vera e propria batteria di enzimi, di cellulase, con una proprietà catalitica molto forte per degradare i vegetali. E’ considerato dagli esperti il fungo di riferimento per trasformare la cellulosa per trasformare la cellulosa vegetale in zuccheri semplici (saccarificazione), dei quali si nutre.

«Dopo la fermentazione – spiegano i ricercatori del Cnrs – gli zuccheri semplici possono essere facilmente trasformati in biocarburanti come l’etanolo. Gli agrocarburanti di prima generazione, elaborati a partire dai cereali o dalla barbabietola da zucchero, hanno mostrato tutti i loro limiti. I biocarburanti di seconda generazione, prodotti da prodotti di scarto della silvicoltura e dell’agricoltura (rifiuti di alberi, i tutoli del mais, la paglia del grano, ecc.), non presentano le stesse difficoltà: sono complementari alle attività agricole già in corso, presentano un miglio bilancio di CO2 e non interferiscono con la filiera agroalimentare. Per produrli, le industri le industrie cercano di sviluppare dei ceppi di funghi capaci di produrre un cocktail completo di cellulase ed emicellulase a più di 50 g/l».

Il Trichoderma reesei è l’organismo scelto dalla maggioranza dei progetti in questo campo, infatti il suo cocktail enzimatico si presta facilmente a numerosi miglioramenti genetici e gli scienziati stanno cercando quale sia l’enzima da poter aggiungere al patrimonio genetico del fungo per arrivare ad una saccarificazione più efficace per produrre bioetanolo.

L’equipe glicogenomica diretta da Bernard Henrissat, spécializzata nello studio degli enzimi che degradano gli zuccheri, ha analizzato il genoma del Trichoderma reesei per capire il mistero della sua incredibile attività enzimatica, il risultato è stato sorprendente : il fungo possiede un numero notevolmente inferiore di geni che codificano le sue cellulase, molto meno degli altri funghi capaci di scomporre la parete cellulare delle piante.

Diego Martinez, autore principale dello studio e ricercatore presso l´Università del New Mexico, ha detto al notiziario scientifico Cordis: «Conosciamo la reputazione del T. reesei di essere un produttore di grandi quantità di enzimi degradanti, tuttavia siamo rimasti sorpresi dal ridotto numero di tipi di enzimi che esso produce e questo ci suggerisce che il suo sistema di secrezione delle proteine sia incredibilmente efficiente. Anche se sembra essere cambiato molto poco nel meccanismo secretorio da quando si è allontanato da un antenato comune con il lievito, ci sono alcune interessanti differenze nel modo in cui il T. reesei trasforma alcuni legami proteici importanti per la produzione di cellulase. Anche se i tessuti vegetali probabilmente non sono la principale fonte di nutrienti per il T. reesei, con la scoperta di cellulosa ed emicellulosa sembra che l´organizzazione di questi geni preposti alla degradazione possa essere la chiave di una risposta rapida».

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