[16/05/2008] Comunicati

Per gli americani l´ambiente è una verità un po´ meno scomoda

LIVORNO. L’America si sta riscoprendo ambientalista dopo il terremoto tentato dalla campagna di Al Gore e del suo film An inconvenient truth? Quanto di vero c’è nei proclami elettorali che sia da parte dei Repubblicani che da parte dei Democratici hanno dato una ripassatina di verde alla lunghissima corsa delle primarie? E infine come interpretare notizie come quella di una brusca inversione di tendenza nelle abitudini automobilistiche degli statunitensi, che sembrano non amare più così tanto i mostri ruotati che ingombrano le sue autostrade consumando un’enormità di carburante?

Lo abbiamo chiesto a Roberto Rezzo, l’inviato a New York dell’Unità che già un anno fa ci aveva descritto le due velocità ambientaliste dell’America, quella di pochi stati virtuosi come il Massachusetts e la California, e quella della stragrande maggioranza della popolazione, quasi incurante di questione da noi tanto dibattute come il global warming.

«Un cambiamento c’è stato. E’ innegabile – esordisce Rezzo – basti pensare che addirittura il candidato repubblicano ha un proprio programma sull’ambiente. Non era assolutamente scontato per un Paese che esce da 8 anni di amministrazione Bush, che ha disdetto il Protocollo di Kyoto e che ha fatto scappare il capo dell’Epa (agenzia americana per la protezione dell’ambiente): cioè l’ex governatore del New Jersey Christine Todd Whitman, nominata appena due anni prima dallo stesso Bush che però fin dall’inizio le ha impedito di fare e di dire quello che avrebbe dovuto».

Partiamo da Mc Cain. Intanto notiamo che se ha un suo programma ambientale ciò significa che l’opinione pubblica americana sente l’esigenza di un’attenzione maggiore alla sostenibilità?
«Senza dubbio: l’attenzione all’ambiente risponde alla precisa esigenza di attirare l’elettorato in bilico e per questo il suo website mostra in bella evidenza un bottoncione verde con il suo programma. Che nel merito afferma cose piuttosto interessanti: la prima cosa che va notata è che Mc Cain dice che il riscaldamento globale esiste, ma dice anche che qualsiasi misura che si deciderà di prendere per difendersi dal riscaldamento globale dovrà essere supportata da solide argomentazioni scientifiche: e in un paese in cui per ogni studio sul nucleare che ne afferma la pericolosità ce n’è un altro che dice che è perfettamente sicuro, questo può voler dire tutto e niente.

Il secondo punto da rilevare è che non solo devono essere suffragate scientificamente, ma qualsiasi misura decisa, non dovrà in alcun modo danneggiare l’economia. Quindi lontanissimo dalla concezione di economia ecologica: l’ecologia in totale subordine all’economia».

Mc Cain propone comunque un sistema di scambio di quote per le emissioni che ricorda molto quello previsto dal protocollo di Kyoto.
«Più o meno dovrebbe funzionare così: ogni inquinatore ha una sua quota di emissioni, se impiega una tecnologia che gli consente di ridurre le emissioni, può vendere la sua parte in eccesso ad altri: in pratica basta pagare per poter inquinare. Con questo meccanismo Mc Cain punta a una riduzione delle emissioni del 65% entro il 2050. Infine il candidato repubblicano si dichiara favorevole all’aumento dell’efficienza dei veicoli senza specificare standard, così come è teoricamente favorevole all’efficienza energetica ma anche in questo caso senza target specifici. Promette di spingere sulle centrali a carbone liquido e sulle rinnovabili, per le quali però si oppone decisamente a fissare quote minime».

In campo democratico quali sono gli impegni presi?
«Direi che fra Obama e Clinton le posizioni sono pressoché identiche: per entrambi riduzione delle emissioni dell’80% al 2050 e quota minima del 25% di energie rinnovabili al 2025. Poi sull’efficienza dei veicoli Obama punta a 50 miglia per gallone in 18 anni e la Clinton a 55 miglia in 22 anni. Efficienza degli elettrodomestici per Obama -50% al 2030 e per Clinton -20% al 2020.

Il carbone liquido viene appoggiato solo se si dimostrerà che riduce almeno del 10% le proprie emissioni per Obama, del 20% per Clinton.

L’unica vera differenza riguarda la discarica sotterranea di scorie atomiche del Nevada, iniziata a costruire nel 1982 pronta da anni ma mai aperta per tutta una serie di motivi, compresi terremoti e infiltrazioni d’acqua che hanno impedito di avere la licenza dall’agenzia atomica. Obama è favorevole ad aprirla perché parte della sua campagna elettorale è stata finanziata anche dalla società che ha costruito il grande deposito, mentre la Clinton è contraria, e questo spiega anche perché in Nevada è stata lei a vincere le primarie».

La questione nucleare come è stata affrontata dai vari candidati?
«A differenza che in Italia, negli Stati Uniti si sono guardati bene tutti da entrare sul tema: talvolta le lobbies dei costruttori hanno cercato di forzare la mano, sostenendo per esempio che sarebbe molto più sicuro costruire nuove centrali piuttosto che continuare a far funzionare le vecchie, ma finché possono i candidati non si sbilanciano: nessuno lo esclude a priori e nessuno lo appoggia apertamente».

Un anno fa le chiedemmo che cosa pensava l’opinione pubblica americana del Protocollo di Kyoto e degli sforzi europei sul fronte della riduzione dell’inquinamento. La prima risposta fu “zero”, distinguendo poi alcuni Stati da altri. Oggi come risponde?
«Il Protocollo di Kyoto resta un grande sconosciuto e i candidati non fanno molto per farlo conoscere, si limitano anzi a promettere di ridare agli Usa un ruolo di guida a livello mondiale per la tutela dell’ambiente. Questo ha prodotto l’effetto al Gore: una mano sull’ambiente e una al portafoglio, mentre prima entrambe stavano sul portafogli».

In che senso?
«Voglio dire che la campagna di Al Gore ha avuto sì un impatto, ma il vero cavallo di troia dell’ambientalismo è stato il caro petrolio. Si punta alle nuove tecnologie ecosostenibili perché consentiranno prima di tutto di ridurre la dipendenza dal petrolio, dando magari anche nuovi posti di lavoro e risolvendo la crisi dell’industria automobilistica. La sensibilità ambientalista insomma c’è quando significa anche risparmio economico».

Questa sensibilità comunque si traduce in attenzione verso i flussi di energia e quindi la possibilità di avere maggiore efficienza e risparmio. Ma temi in Italia fortemente sentiti come la questione rifiuti hanno avuto spazio in campagna elettorale?
«Assolutamente no. I rifiuti non sono considerati un problema da parte degli americani e quindi nessuno ne parla. Quasi tutto qui finisce in discarica e gli spazi non mancano. Tra l’altro rifiuti ed efficienza energetica sono due facce della stessa medaglia: faccio l’esempio degli elettrodomestici, qui una lavapiatti costa pochissimo, cinque volte meno di quelle che si vendono in Europa. Di conseguenza anche le prestazione sono minori (non esiste isolamento termico, ci sono serpentine terrificanti...) e ovviamente diventano anche rifiuti molto prima. Non a caso chiunque vincerà dovrà mettere mano, e non potrà farlo in un solo mandato, a una grande opera di riammodernamento delle tecnologie elettriche domestiche. Negli Stati Uniti per esempio hanno degli interruttori che da noi si usavano nel dopoguerra e si usano ancora i 110 volts nelle case con il risultato che d’estate ogni condizionatore costa in media 350 dollari il mese solo di corrente, perché più basso è il voltaggio e più alto è il consumo. Il famoso black out del 2003 poi, è figlio del fatto che dopo la liberalizzazione del settore elettrico, la griglia elettrica nazionale non è stata più mantenuta perché tutti la utilizzano ma nessuno ne è proprietario, e quindi non solo è molto vulnerabile, ma è anche piena di bug che provocano sprechi».

Un´ultimissima domanda: Nader si ripresenta?
«Nader correrà come indipendente, ma non si sa se riuscirà a raccogliere le firme, anche perché l’appoggio dei Verdi è in dubbio, visto che il partito è attualmente spaccato in diverse fazioni. In ogni caso Obama ha già dato la sua disponibilità a un faccia a faccia televisivo con lui nel caso riesca a candidarsi».

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