[14/05/2008] Comunicati

L’ambiente dopo il voto

PISA. A guardare al dibattito post-elettorale toscano -ma la considerazione per molti versi può estendersi al paese- le questioni ambientali che hanno tenuto banco per un lungo periodo sembrano essersi improvvisamente eclissate. Certo si riparla della tramvia fiorentina, dell’aeroporto ed anche delle bandiere blu ma nel complesso delle polemiche giornalistiche, dei vari comitati non sembra restare granché.

Eppure le forze politiche a partire da quelle uscite più malconce dal voto di questi temi avevano fatto spesso un loro cavallo di battaglia. E se il Sole ormai ha poco da ridere gli altri – nessuno escluso - hanno di che riflettere. Certo è difficile stabilire se e in che misura queste questioni hanno inciso negli esiti del voto. Di sicuro ora anche questi temi a partire dai più controversi dovranno essere messi nel conto della riflessione post-elettorale. Difficile cavarsela –come ho letto- con affermazioni dal sapore grottesco di un esponente verde toscano secondo cui quel che è accaduto è dovuto alla ‘duttilità’ del loro elettorato.

Un profilo – non il solo naturalmente - da cui partire a me sembra riguardare la connessione, l’intreccio tra assetti istituzionali sui quali il confronto è prevedibile sarà quanto mai serrato e controverso da subito e l’evolversi delle tematiche ambientali. Finora se guardiamo anche il dibattito toscano la sola e parziale novità rispetto ad altri momenti vicini e lontani è stata l’accento posto in maniera non sempre convincente sui costi della pubblica amministrazione. Che si sia trattato della abrogazione del province, del riassetto delle comunità montane, dello sfoltimento più o meno drastico di enti, agenzie e consorzi regionali l’accento infatti è stato posto–ripeto spesso malamente- sui costi più che sulla esigenza di assicurare una maggiore efficacia al governo del territorio. So bene che esiste anche un problema di costi ma viene in un certo senso dopo perché sprechi, doppioni, vischiosità che accrescono i costi possono essere eliminati soltanto se risulterà più funzionante, meno appesantito e conflittuale l’intero sistema istituzionale.

Da questo punto di vista – e la Toscana è stato un esempio significativo- invece non si è andati generalmente al di là di una riproposizione spesso stanca e scontata del rapporto stato-regioni che si è concentrata, ad esempio, sul paesaggio con effetti per molti versi distorcenti e poco convincenti. Intendiamoci, la riforma del titolo V della Costituzione tocca anche questo profilo di cosa cioè deve essere statale e cosa regionale ma ormai dovrebbe essere chiaro specialmente per i temi che qui interessano e cioè quelli ambientali che questa ripartizione non può più essere fatta secondo i vecchi canoni perché l’ambiente oggi non costituisce più –se mai lo è stato- una ‘materia’ bensì un valore rinvenibile sia nelle competenze esclusive dello stato che di quelle regionali.

Se la riflessione sulla nuova Carta delle autonomie che procede con notevoli difficoltà e intoppi non terrà conto anche di come sono cambiati i parametri di riferimento delle ‘materie’ si avranno approdi tipo Nuovo codice dei beni culturali. Infatti la vicenda del Codice che nelle polemiche toscane ha trovato un formidabile stimolatore si è interamente concentrata su cosa doveva - e alla svelta- essere ricondotto allo stato – si è usato infatti non a caso il termine riappropiazione perché non ci potessero essere dubbi al riguardo- visti i danni si è detto fino alla noia-derivati dalla gestione regionale ed in particolare degli enti locali.

Seguendo questa sequenza non sono stati presi in considerazione quegli intrecci, quella ‘trasversalità’ tante volte richiamata dalla Corte costituzionale che contraddistingue in generale l’ambiente e in maniera del tutto peculiare proprio il paesaggio. Ed ecco che nel momento in cui il paesaggio va considerato in quella stretta connessione con l’ambiente anche naturale come si era cercato di meglio esplicitare anche nell’art 9 della Costituzione, il nuovo codice spezza questa unitarietà fissata efficacemente dalla legge quadro sui parchi del 91 sottraendo ai piani dei parchi proprio il paesaggio. Torno su questo punto perché qui si può cogliere in tutta la sua portata negativa il limite di una rilettura dell’assetto istituzionale vigente che non tenga conto di come sia andato cambiando in questi anni il contesto, il quadro di riferimento ambientale anche in ragione delle nuove politiche comunitarie tutte imperniate –non è male ricordarlo- sulla integrazione terra-mare, montagna-pianura, agricoltura –ruralità, paesaggio –biodiversità, suolo – acqua e così via. Qui la trasversalità si coglie a occhio nudo e non attiene solo alle ripartizioni verticali stato-regioni-enti locali ma anche a quelle orizzontali che se non colte nella loro complessità portano fatalmente alla proliferazione di quella selva di organismi che oggi con fatica si cerca di ridurre e sfoltire. Chi si sofferma solo su una faccia di questa medaglia finisce –sbagliando- come è accaduto non solo con il nuovo Codice di non considerare che la stessa filiera istituzionale se ridotta e compressa nei tre livelli tradizionali finisce per non avvalersi di quei soggetti gestionali quali i parchi e le autorità di bacino (se sopravviveranno) che guarda caso operano proprio a quei livelli di giustezza e adeguatezza richiamati dalle leggi Bassanini prima e dalla riforma del titolo V poi.

Facciamo un altro esempio. Si stanno ridisegnando le Comunità montane tra non poche resistenze e difficoltà. Ora non importa avere letto l’ultimo libro di Aldo Bonomi ‘Rancore’ per sapere che al nord le vicende pedemontane, delle vallate alpine hanno rappresentato e rappresentano un passaggio cruciale delle politiche di quei territori per le loro implicazioni economico- sociali e ambientali nonché elettorali. Se spostiamo l’attenzione su alcune delle nostre realtà toscane dall’Elba, alla Val di Cecina, alla Garfagnana, alla Val di Cornia è agevole ritrovarvi quell’intreccio di tematiche ambientali e non, che la filiera istituzionale classica ossia regione, province, enti locali fatica a cogliere e soprattutto a gestire a quei livelli di adeguatezza prima richiamati. Eppure qui operano più o meno efficacemente parchi e aree protette ( ma vale anche per le autorità di bacino) che hanno il vantaggio duplice di agire con finalità più vicine a quelle esigenze di integrazione ricordate ed anche su dimensioni più adeguate di quelle amministrative. Nonostante questo il dibattito sulle Comunità montane -ma potremmo dire anche sul ruolo delle province e dei piccoli comuni- non sembra avere finora incrociato queste questioni. E se ci spostiamo dai monti alle coste e al mare la musica non cambia anzi se possibile peggiora e non di poco. Basta vedere il trascinarsi persino penoso delle individuazione e definizione dell’area marina all’Arcipelago dove peraltro si incrociano certo la competenza statale sul mare ma anche quella della regione sulle coste. Un caso che conferma chiaramente che la semplice ripartizione dei compiti tra stato e regioni non è sufficiente se poi non segue da entrambe le parti quella ‘leale collaborazione’ che sappia avvalersi delle rispettive competenze per politiche regionali che facciano sistema con quelle nazionali. Ecco perché è stato un grave errore avere depotenziato il ruolo dei piani dei parchi i quali sono tra gli strumenti più avanzati di cui oggi si dispone per superare quella frammentazione e settorializzazione delle politiche ambientali che offre sicuramente molti spunti ai più diversi comitati ma che difficilmente è in grado di durare e soprattutto di superare un localismo senza respiro né futuro.

Detto questo vorrei fare un’ultima considerazione più politica che riguarda anche - anzi soprattutto- la forza politica che oggi in Toscana ha la maggiore responsabilità di governo. Prima ancora dell’approdo nel PD si sono fatti diversi tentativi di costruire una ‘sinistra ecologica’ o comunque una presenza in grado di caratterizzare la politica ambientale del partito. Sono stati tentativi comunque finiti male vuoi perché apparsi talvolta in controtendenza rispetto alle stesse scelte politiche generali del partito vuoi perché riproponevano in sostanza l’idea di qualcosa di separato - una specie di piccolissimo partito verde nel partito- rispetto a tutto il resto. Ecco io credo che il cosiddetto ‘ambientalismo del fare’ non ha bisogno di nicchie separate ma di politiche ambientali efficaci di cui le istituzioni debbono farsi carico più di quanto finora è avvenuto. Si discute molto anche polemicamente sulla capacità di questa nuova forza politica di esprimere volti nuovi, uomini e donne giovani e non più solo ex. Ecco, a me sembra che di questi volti nuovi e non solo ex ci sia bisogno anche per l’ambiente.

L’impressione che si è avuta negli scorsi mesi da Monticchiello in poi è che queste cose fossero appannaggio di intellettuali e comitati con le istituzioni impegnate con poca verve in una linea di contenimento talvolta stizzoso. L’ambientalismo del fare ha bisogno di ben altro e innanzitutto di una capacità di proposta che sappia far leva su tutti gli strumenti -istituzionali e non- di cui dispone sui quali si sono potute invece effettuare incursioni squilibranti nella più completa indifferenza o quasi. Qui più che ad un ambientalismo del fare si è assistito ad un ambientalismo del non vedere e sentire. Ma per fare bisogna vedere e sentire bene.

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