[09/05/2008] Energia

Biocarburanti: Lula cerca di svincolarsi dall’abbraccio di Bush

LIVORNO. L’accordo per promuovere un mercato mondiale del combustibile, firmato in pompa magna dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e da quello Usa George W.Bush, si sta rivelando un grosso errore e Lula, di fronte alle sempre più roventi polemiche sull’impatto del biofuel sui prezzi del cibo, sta cercando di dissociare l’etanolo brasiliano dai biocombustibili statunitensi.

Il Brasile produce da 30 anni etanolo soprattutto da canna da zucchero e fino ad ora aveva avuto buon gioco a magnificarne i risultati anche nel campo del contributo della lotta alle emissioni di gas serra ed al riscaldamento globale, ma negli ultimi tempi è stato accomunato alla critica ai biocombustibili, ed accusato di partecipare al “crimine contro l’umanità” di chi sottrae in questo modo cibo agli affamati.

L’accordo firmato nel marzo del 2007 tra Brasile ed Usa per aumentare la produzione di etanolo negli altri paesi tropicali, per la cooperazione tecnologica e la definizione di regole tecniche, rischiano di oscurare l’immagine del Brasile a livello internazionale, anche per l’impopolarità di Bush nei Paesi in via di sviluppo per la guerra in Iraq che invece di fornire petrolio a buon prezzo ha contribuito a farlo schizzare ai massimi storici, con una corsa inarrestabile che rende sempre più appetibili i biocombustibili.
Bush ha anche detto che ridurrà del 20% il consumo di benzina negli Usa, sostituendolo entro 10 anni con una produzione colossale di etanolo. L’uomo non è fortunato: poco dopo i prezzi degli alimentari sono schizzati verso l’altro, innescando rivolte del pane e del riso e carestie, dando la possibilità a personaggi come Fidel Castro e Hugo Chavez (un ex biocombustibilista presto pentito…) di accusare i biocombustibili di essere una delle cause della fame.

Ora Lula prende le distanze e dice in Ghana, dove il Brasile partecipa ad un mega-progetto per la produzione di etanolo, che l’errore sui biocombustibili è stata la «decisione statunitense di produrre alcool dal mais» e insiste sulla differenza tra il programma brasiliano e quello Usa.
Ma il problema più che il Ghana e le neo-colonie energetiche africane, sembra guardare in faccia prima di tutto il Brasile: il mercato Usa ha eretto barriere doganali per non far entrare l’etanolo brasiliano, ma il biocombustibile Usa potrebbe invadere l’America latina grazie ai sussidi di cui godono gli agricoltori statunitensi.

«Non credo che il Protocollo d’intesa tra Brasile e Stati uniti possa essere il responsabile delle critiche che incalzano l’alcool brasiliano – dice all’Ips André Nassar, direttore dell’Instituto de Estudios de Comercio y Negociaciones Internacionales - La difficoltà dell’opinione pubblica a distinguere tra i due “etanoli” è inevitabile anche senza quell’accordo, che si limita a questioni tecniche, cooperazione ed investimenti in Paesi terzi. Il problema centrale è il modello degli Stati Uniti. L’impatto dell’etanolo di mais sui prezzi sarebbe molto minore senza l’alto livello di sussidi che proteggono la produzione statunitense ed impediscono molto nel separare l’etanolo brasiliano da quello statunitense, anche se questo è solo questione di tempo».

Invece, per Roberto Kishinami, ex direttore di Greenpeace Brasile ed oggi esperto di energie rinnovabili e consulente del ministero dell’ambiente, l’accordo Bush-Lula «E’ stato un errore, però non irreversibile. Recuperare il prestigio dell’alcool brasiliano esigerà un lavoro erculeo. Il Brasile deve creare un’identità per il suo etanolo, perché il settore della canna è avvelenato anche dalla immagine negativa del suo passato coloniale e schiavista e dagli attuali fabbricanti, impresari dello zucchero che persistono nelle loro pratiche illegali, di scarso rispetto per i lavoratori e l’ambiente».

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