[06/05/2008] Comunicati

Ciclone Nargis, la dittatura birmana non ce la fa a far fronte alla catastrofe

LIVORNO. La comunità internazionale è attonita davanti all’ampiezza del disastro provocato dal ciclone Nargis in Myanmar: certamente più di 15 mila morti (secondo il ministro degli esteri del Myanmar, nella sola città di Bogalay ci sarebbero più di 10 mila vittime) ed almeno 30 mila dispersi, ma nessuno può sapere e saprà probabilmente mai cosa è successo nei poveri e sconosciuti villaggi fangosi dell’immenso delta del fiume Irrawaddy o nelle baracche sospese sulle colline scivolose intorno a Yangoon. Secondo le agenzie umanitarie dell’Unione europea presenti a Yangoon, il 95% dei villaggi del delta sarebbero rasi al suolo. La dittatura birmana sembra incapace di rispondere ad una catastrofe che ha scoperto che il suo regime si basa sul terrore e non sull’efficienza: il governo del Myanmar ha accettato gli aiuti internazionali ma sotto un ferreo controllo che rischia di farli arrivare con molta difficoltà e di farli finire nei quartieri abitati dai militari che governano il Paese e non dove ce ne sarebbe più bisogno.

La portavoce dell’ufficio per gli affari umanitari dell’Onu (Ocha) Elisabeth Byrs assicura che i dittatori birmani «hanno manifestato la loro disponibilità a ricevere l’aiuto internazionale, ma le modalità restano da determinare. Non si sa quindi ancora come, quando e chi spenderà i 2 milioni di euro stanziati urgentemente dalla Commissione europea per aiutare il popolo birmano, ma si sa che il regime di Yangoon ha già rifiutato i 250 mila dollari stanziati del governo Usa e che dovevano arrivare in Myanmar attraverso il Pam ed altre organizzazioni dell’Onu. Il governo militare birmano non ha gradito che la Casa Bianca abbia detto che «in tal modo il denaro non passerà direttamente dal governo» e soprattutto le parole del first lady Laura Bush che ha accusato il regime di non aver avvertito in tempo la popolazione (cosa verissima): «Mentre erano a conoscenza della minaccia, i media di Stato birmani non hanno dato l’allarme in tempo alle persone che si trovavano sul cammino della tempesta. Mi inquieta che possano ugualmente non accettare l’aiuto umanitario».

Ha invece già ottenuto un visto umanitario l’agenzia umanitaria World Vision che sta facendo arrivare in Myanmar personale supplementare in aereo. «Questo è senza precedenti – ha detto Tim Costello, direttore dell’ organizzazione in Australia – Questo dimostra come la situazione sia grave agli occhi del governo birmano». Yangoon, la ex capitale del paese col nome di Rangoon ed oggi principale centro economico, è priva di elettricità dal 2 maggio, quando è stata colpita dal ciclone, ma sono pochi i soldati che si vedono per le strade a spostare le macerie e gli alberi caduti ed a soccorrere le vittime, molti meno di quelli che il regime scatenò contro le proteste dei monaci buddisti solo qualche settimana fa.

Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon si è detto «profondamente rattristato per la perdita di vite umane e per le distruzioni provocate da ciclone Nargis» ed ha offerto l’aiuto dell’Onu. Le Nazioni Unite hanno già approntato un’unità di crisi del Disaster Assessment and Coordination e sollecitano il governo del Myanmar a rispondere urgentemente al crescente bisogno umanitario.

L’Unicef è pronta ad inviare cinque équipe di valutazione nei luoghi più colpiti e il Programma alimentare mondiale, che ha già riserve alimentari stoccate a Yangoon, chiede di far arrivare in Myanmar alcuni articoli di pronto intervento, come i generatori, già pronti nella vicina Cambogia, ma anche contenitori di plastica, compresse per purificare l’acqua, set da cucina, zanzariere, kit medici e cibo.

Il numero di chi ha bisogno di aiuto sembra enorme, i senzatetto a Yangoon si conterebbero a migliaia e l’acqua potabile è già un problema grossissimo. Ban Ki-moon ha convocato l’ambasciatore del Myanmar all’Onu per sollecitare un’immediata distribuzione degli aiuti e una gestione trasparente dei fondi che potrebbero essere concessi con urgenza attraverso il Central Emergency Response Fund dell’Onu.

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